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 https://www.lagazzettadilucca.it/cultura/ercolini-ospite-del-pianeta-terra-festival

Ercolini ospite del "Pianeta Terra Festival"

 

 

Sabato 8 ottobre alle ore 19 presso la sala sala convegni di Confindustria toscana nord sita a Lucca in piazza Bernardini, 41 Rossano Ercolini, goldman environmental prize 2013, sarà ospite del Pianeta Terra festival, che vede studiosi nazionali e internazionali confrontarsi per costruire una visione nuova per il futuro del nostro Pianeta.

All’evento, dal titolo “Dall’ego-logia all’eco-logia: quando i cittadini possono fare la differenza”, sarà presente con Ercolini anche Samir de Chadarevian, advisor, storyteller ed editorialista.

Entrambi dialogheranno con Irene Ivoi sull’importanza di ripensare ad un modello economico, antropologico e culturale del tutto ego-logico e inadeguato a risolvere le grandi sfide dei nostri tempi.

Dall’ego-logia all’eco-logia, un gioco di parole che fa appello ad una sfida:  il passaggio dal “modello lineare” (estrazione, produzione, consumo, smaltimento) centrato sullo sfruttamento sconsiderato della natura al “modello circolare” basato sul rispetto dei tempi e dei modi della rigenerazione ambientale.

L’ingresso all’incontro è gratuito fino ad esaurimento posti.

 

 

Il sito ha qualche problema, ci scusiamo per i disagi causati ai lettori, speriamo di risolvere presto!

 

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L'acqua del rubinetto è buona se non ci sono veleni nell'aria e nel suolo PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
lunedì 12 maggio 2008

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200805articoli/32705girata.asp

http://www.margheritaonline.it/stampa/scheda.php?id_stampa=33322 

Vent’anni a bere acqua avvelenata

Rifiuti e scarichi nocivi per 450 mila persone. «Qui è peggio che a Porto Marghera»

 GIUSEPPE SALVAGGIULO PESCARA
Non è vero che in Abruzzo non succede mai niente. Può succedere, per esempio, che per decenni una grande industria chimica inquini la zona in cui si trova la falda idrica che fornisce acqua potabile a 450 mila persone. Può succedere che attorno a quell’industria sorga la discarica abusiva di rifiuti pericolosi più grande d’Europa. Può succedere che le analisi nell'area industriale rilevino sostanze tossiche e cancerogene, con valori fino a 161 mila volte il limite legale. Può succedere che per anni tutto ciò sia, nella migliore delle ipotesi, ignorato o sottovalutato da chi dovrebbe allertarsi e intervenire. Può succedere di imbattersi «in qualcosa che al confronto - confida un investigatore - Porto Marghera sembra una cazzata». Può succedere. È successo.

Il paradiso perduto

Questa storia non è ambientata in uno di quegli inferni industriali che fanno paura solo a guardarli, ma in un’incantevole valle a cinquanta chilometri da Pescara, lungo l’autostrada per Roma. Un canyon imponente, incastrato tra due parchi nazionali (Gran Sasso e Majella), che dall’Appennino si apre verso il mare Adriatico. Boschi a perdita d’occhio, cime imbiancate sullo sfondo, qua e là mucchi di case lungo i pendii. Ai piedi della valle si convogliano tutte le acque dai monti, che alimentano due fiumi paralleli. Uno in superficie, il Pescara (con l’affluente Tirino), che scorre tra piccole lagune cristalline dove i ragazzi vengono a campeggiare e a fare il bagno. Uno sotterraneo, la grande falda d’acqua da cui pesca l’acquedotto.

Quest’impianto serve 450 mila persone, un terzo della popolazione regionale, che diventano fino a 600 mila d’estate. All'altezza del paesino di Bussi, sotto il ponte dell'autostrada e con il fiume che passa in mezzo, c'è un sito industriale. Un insediamento chimico sorto nel 1901 e che nel corso del ‘900 segue tutta la parabola della chimica italiana. Riconvertito alla bisogna a fini bellici (la posizione la rende inattaccabile), poi finisce nell’orbita Montedison. La storia cambia nel 1982, quando si aprono otto nuovi pozzi dell'acquedotto. Pur chiamandosi pozzi di Sant'Angelo, di angelico non hanno nulla. Anziché collocarli a monte dell'industria, dove l'acqua è ancora incontaminata, li piazzano a valle, dove il fiume ha già imbarcato un bel po' di veleni. Quindi, da quel momento, l'acquedotto porta nelle condutture e nelle case degli abruzzesi acqua con residui di scarichi chimici.

I primi allarmi

Il primo campanello d'allarme suona vent’anni dopo, nel 2002, quando la multinazionale belga Solvay acquisisce lo stabilimento e rileva, nel terreno sottostante, sostanze nocive oltre il limite consentito. Il sito dunque, è sin da quel momento ufficialmente inquinato (ad oggi, la bonifica non è ancora iniziata). Un momento. L'industria inquina la falda che poco più a valle alimenta l’acquedotto. Siamo sicuri che l'acqua che arriva nelle case sia davvero potabile? Prima che qualcuno si ponga questa domanda, passano due anni. Nel 2004, fatte le prime analisi dell'acqua, l'Asl certifica «uno stato di inquinamento» che «pregiudica gravemente la qualità delle acque destinate al consumo umano» e «necessita di urgenti provvedimenti (...) da parte delle competenti autorità…».

Le sostanze inquinanti rilevate sono tre: tetracloroetilene, tricloroetilene e cloroformio. Tutti e tre classificati dall'Organizzazione mondiale della sanità come tossici per fegato e reni. Il primo è anche un probabile cancerogeno. Tecnicamente si tratta di uno STATO DI ALLERTA e l’Asl lo scrive proprio così, tutto in maiuscolo, in modo che balzi subito all'occhio, in una nota del settembre 2004.

Tutti zitti, tutti fermi

Che cosa succede, di fronte a un allarme così inequivocabile? Nulla. Ovvero riunioni, rimpalli di responsabilità, conferenze di servizi. E dire che le cosiddette autorità competenti non mancano: Asl (Azienda sanitaria locale, dà i giudizi di potabilità), Arta (Autorità regionale territorio e ambiente, fa le analisi in laboratorio), Aca (società pubblica di gestione dell'acqua), Ato (Ambito territoriale ottimale, ente pubblico che coordina la gestione dell'acqua), commissario straordinario del governo, una quarantina di Comuni, Provincia, Regione e c'è sempre il rischio di dimenticarne qualcuno. Ma anziché intervenire ed effettuare analisi anche su altre sostanze, si danno la consegna del silenzio. Un documento della Regione chiede agli altri enti «un’adeguata discrezione al fine di evitare inutili allarmismi nei cittadini interessati dai fenomeni di inquinamento in atto». Infatti i cittadini continuano a bere ignari di tutto, sebbene la legge imponga di informare la popolazione della presenza nell’acqua di sostanze potenzialmente dannose per la salute.

Questione di filtri

La gabola per non fare nulla è semplice: miscelare l'acqua inquinata con quella buona, presa dai vecchi pozzi sistemati a monte dell'industria. Così i veleni si diluiscono e l'acqua torna potabile. Peccato che la miscelazione, oltre che vietata dalla legge come chiarito dal ministero dell’Ambiente, non sia risolutiva. Alla fine del 2004 una nuova relazione dell’Agenzia ambientale regionale aggrava il quadro: nella falda, diciannove molecole superano i limiti di legge. Tra queste anche il cromo esavalente, il micidiale agente tossico e cancerogeno reso famoso dal caso di Erin Brockovich, una storia vera accaduta negli Stati Uniti e diventata film da premio Oscar. In queste analisi, il tetracloroetilene risulta schizzato a livelli di concentrazione impressionanti: fino a 4.800 volte superiori a quelli tollerati. E poi mercurio, piombo, nichel, cloruro di vinile. L’Agenzia, che pure conferma il giudizio di potabilità dell’acqua, consiglia controlli giornalieri e barriere idrauliche per tamponare l’inquinamento. Tutto inutile.

Come in un film

Passa un altro anno e la magistratura minaccia il sequestro dei pozzi, che vengono chiusi a fine 2005 ma poi incredibilmente riaperti dopo aver messo dei filtri. È un’altra finta soluzione: i filtri possono ben poco. Anzi nel febbraio 2007 nuove analisi rilevano concentrazioni di tetracloruro di carbonio (un composto tossico che colpisce fegato, reni, cuore e sistema nervoso) superiori rispetto a prima. I filtri sono già saturati. Sono trascorsi cinque anni dal primo allarme, tre dalle prime analisi. A dispetto dei palliativi dietro cui si trincerano le autorità, la situazione è peggiorata. Fausto Croce, professore di chimica all'università di Chieti, vive proprio nella valle. Insospettito da un trafiletto su un giornale locale, preleva campioni di acqua e li fa analizzare in laboratorio da un’equipe di colleghi. Dopo qualche giorno, allarmato dai risultati, Croce contatta Augusto De Sanctis, volontario del Wwf. Augusto non ha il fascino di Julia Roberts, ma come nel film dedica anima e corpo alla causa dell'acqua e della salute. Trascina il vicepresidente del Wwf Abruzzo, Fabio De Massis, a bordo della sua vecchia utilitaria lercia e scassata. I due raggiungono la valle e accompagnano i tecnici di un laboratorio di Roma per fare altre analisi. L’esito è sconvolgente: possibili cancerogeni come il tetracloruro di carbonio a livelli mai raggiunti in nessuna acqua potabile del mondo. Ma quando questi dati vengono portati all'attenzione delle autorità, la risposta dell’Ato, l’ente pubblico che coordina il servizio idrico, è non meno sconvolgente: «Avranno fatto le analisi con le provette sporche».

Una bomba

Com'è possibile che argini più robusti alzati nello stabilimento industriale, filtri ai pozzi e miscelazioni dell'acqua non siano serviti a niente? Si capisce il 12 marzo 2007 quando il Corpo forestale, guidato dal comandante provinciale Guido Conti, va a dare un’occhiata nelle viscere della valle. Comincia a scavare attorno al sito industriale e al fiume. E scopre che per decine di metri, lì sotto, la terra è intrisa di sostanze inquinanti. Le stesse che hanno contaminato l'acqua. Come in una macabra caccia al tesoro, i forestali si spostano più in là per chilometri. Scavano. E l’esito è sempre lo stesso: ovunque veleni. Qualcuno sviene a metri di distanza, nonostante le mascherine. «È una bomba ecologica senza precedenti», scrivono. Per mesi proseguono i sondaggi.

Alla fine, in tre punti diversi della valle, sequestrano una decina di ettari di terreni (una superficie grande come venti campi di calcio) per un totale di 500 mila tonnellate di rifiuti. La discarica abusiva di rifiuti pericolosi più grande d’Europa. Per decenni, quella montagna di schifezze ha inquinato il terreno, i fiumi e la falda utilizzata dall’acquedotto. La conformazione del territorio, con la valle a fare da grande imbuto naturale, ha amplificato gli effetti della «bomba».

Troppo tardi

Lo scandalo esplode. Ora non si può più far finta di niente. Non si può ancora chiedere omertà su carta intestata. Eppure bisogna aspettare il 3 agosto 2007 perché i pozzi vengano nuovamente chiusi. Un terzo dell'Abruzzo resta senz'acqua in piena estate, la gente è inferocita e partecipa in massa a un consiglio comunale straordinario. L'Acquedotto ricambia i filtri e minimizza il pericolo. Ancora una volta i pozzi vengono riaperti, ma questa è l'ultima. A novembre arriva il provvedimento definitivo e la promessa che i pozzi non saranno mai più utilizzati. Nel frattempo partono le indagini epidemiologiche per individuare gli eventuali danni provocati dall’acqua inquinata sulla salute delle persone. Indagini quantomeno tardive e non ancora penetranti come necessario quando è in gioco la salute pubblica.

Perché ora è questo il punto: sapere quale prezzo hanno pagato i cittadini bevendo acqua contaminata. Sessanta tra associazioni e comitati spontanei organizzano una manifestazione con seimila persone. Un gruppo di giovani geologi e registi inizia a girare un documentario. Infine, solo poche settimane fa, l’Istituto superiore di sanità fa giustizia di anni di ipocrisie. Dichiara l'acqua «non idonea al consumo umano» e certifica «un rischio per la salute umana». Dai primi allarmi sono passati sei anni, dalle prime analisi quattro. Quanti e quali danni alla salute dei cittadini si potevano evitare?

Le indagini

È possibile scaricare mezzo milione di tonnellate di rifiuti a due passi da un centro abitato senza che nessuno se ne accorga? Chi è il responsabile della devastazione ambientale della valle? Chi ha scaricato i veleni? Chi ha inquinato l'acqua potabile? E chi, pur sapendo e dovendo intervenire, ha fatto finta di non vedere? Forse si capirà tra poche settimane, quando il pubblico ministero Aldo Aceto dovrebbe chiudere l’inchiesta penale. Per due anni, i forestali hanno sentito testimoni e fatto sopralluoghi, analisi di documenti e fotografie, sorvoli aerei. Come archivisti, sono risaliti indietro nel tempo, ripercorrendo la storia del sito industriale. Dalla sede della Montecatini sono tornati con cinque pullmini carichi di carte. Ora hanno consegnato al magistrato dodici faldoni alti venti centimetri l'uno con «una storia che fa venire da piangere», racconta chi l’ha letta. L’indagine copre un periodo di almeno vent’anni. Le persone coinvolte sono una quarantina.

I reati spaziano da quelli ambientali agli illeciti tipici della pubblica amministrazione. Ma è bene non farsi illusioni: nelle indagini ambientali nove casi su dieci finiscono in un nulla di fatto. Prove complesse, processi lunghi, prescrizioni brevi. Ciò che potrebbe salvare questa inchiesta dall'oblio è l'eventuale contestazione del ben più grave reato di avvelenamento di acqua, punito con quindici anni di reclusione e con l'ergastolo se ne è derivata la morte di qualcuno.

Il futuro

E dei rifiuti pericolosi ancora depositati nella valle? Ah, per quelli ci sono ancor meno speranze. Bonificare la megadiscarica costa circa 150 milioni di euro. Per ora ne sono arrivati solo un paio e non sono bastati nemmeno per coprire i rifiuti con un telone. Così l'acqua piovana e il fiume continuano a trasportare veleni. In attesa della bonifica, a Bussi si guarda avanti. Una parte dello stabilimento chimico è in dismissione, ma è già pronto un progetto per insediare un nuovo impianto per il trattamento dei rifiuti industriali. Non quelli già abbandonati nella valle, ma altri provenienti da impianti petrolchimici, raffinerie e industrie chimiche di mezzo mondo, dagli Stati Uniti alla Polonia. Più o meno centomila tonnellate ogni anno. No, davvero non si può dire che in Abruzzo non succede mai niente.
 

Commenti (3) >> feed
un commento
scritto da mariangela, maggio 12, 2008

"AVVELENATI RADIO URLO…" CHIARE,
FRESCHE E DOLCI ACQUE…..SPORCHE
“Ho ancora la forza che serve a camminare,
picchiare ancora contro per non lasciarmi stare
ho ancora quella forza che ti serve
quando dici: “Si comincia !”
E ho ancora la forza di guardarmi attorno
mischiando le parole con due pacchetti al giorno,
di farmi trovar lì da chi mi vuole
sempre nella mia camicia…”

F. GUCCINI

E allora adesso cominciamo..e cominciamo a modo mio!!!

Da studenti tendiamo tutti a soprassedere, malati di menefreghismo e indifferenza autolesionista, nei confronti di dinamiche apparentemente lontane dai nostri interessi. Ma in questo caso non abbiamo SCUSE! L’acqua è la nostra vita e se ce la danno AVVELENATA non possiamo più stare zitti! Io non voglio accontentarmi di scuse banali così da mettere a tacere la mia coscienza, né essere costretto a comprare al supermercato un mio diritto che comunque già pago: ho sete di verità! Come un moderno Sherlock Holmes indosso berretto e lente di ingrandimento e analizzo la scena del crimine, perchè è di crimine che si parla…
Innanzitutto ho intervistato colui che “per caso” ha scoperto tutto: il Prof. Fausto Croce, docente di chimica-fisica della nostra Università. Il Prof. Croce a febbraio di quest’anno ha scoperto dai giornali, come lo ha scoperto tutta l’opinione pubblica nazionale, che davanti al sito industriale della Solvay, a Bussi, la polizia giudiziaria aveva sequestrato un’area di quattro ettari nella quale erano abusivamente stoccati rifiuti tossici. Questo dato indusse il nostro Prof. a riflettere sul fatto che proprio sotto quel sito inquinato potesse trovarsi l’acqua che rifornisce il comprensorio chietino-pescarese, visto che alcuni pozzi, da cui l’acquedotto preleva l’acqua, si trovano proprio in prossimità del sito inquinato. A questo punto il Prof. Croce decide di far fare ai suoi colleghi del Dipartimento di Chimica dell’Università ‘La Sapienza’, specializzati nella ricerca dei clorurati e dei metalli nelle acque, le analisi delle acque che sgorgano dal suo rubinetto, da una fontana di Torre dei Passeri e dalla fontanella che si trova in via dei Vestini, davanti agli edifici della Facoltà di Medicina. I risultati sono sconcertanti: tetracloruro di carbonio, trielina, tricloroetilene, cloroformio, bromoformio, sostanze che normalmente sono presenti in piccole percentuali nelle acque potabili, ma che questa volta risultavano presenti in concentrazioni spaventose! Inoltre va aggiunta l’inquietante presenza dell’Esacloroetano, sostanza usata dalle industrie per la pulizia dei materiali metallici e ormai da tempo bandito dalla Comunità Europea per la sua spiccata e dichiarata tossicità. Dati alla mano il Prof. Croce si rivolge al WWF consegnando all’associazione i dati da lui trovati. Il WWF esegue le analisi nuovamente e, di nuovo, vengono confermati i risultati trovati dal Prof. L’Associazione ambientalista decide quindi di informare le autorità competenti e poi l’opinione pubblica. Ci troviamo così nel luglio 2007, entriamo ora nel vivo della tormentata vicenda. (segui sul sito: http://www.360press.com/?p=235)



La Margheritaaaaaa..............
scritto da ***, maggio 12, 2008

ma la Margherita la Margherita ? Quelli di Rutelli mangiacicoria che si farebbe costruire un "termovalorizzatore" anche nel giardino di casa? Ma lo sanno fare 2 più 2 o gli preme solo Pescara e l'Abruzzo?

mi domando e mi rispondo da me ma chiedo anche a voi
scritto da sergino, maggio 15, 2008

ricordatevi che non moltotempo fa la Toscana ha alzato il limite di presenza dell'arsenico nell'acqua per poterla rivogare ai cittadini. Era inquinata a causa delle lavorazioni dell'ENI, vedetevi sul sito del professor Barocci tuttala documentazione.
Poi ci dicono di bere l'acqua del rubinetto!!!
Il fatto è che del popolo delle periferie, inquinato e povero (per forza si beve l'acqua del rubinetto) ai governanti non gli interessa e se c'è da fare soldi che sia con l'inceneritore o che sia non inchiodando alle sue responsabilità una multinazionale, non si tirano indietro, guardate cosa è successo con l'amianto, stanno facendo lo stesso con questi altri veleni pur di non obbligare le aziende a fare le misure giuste per non far morire le persone fra cinque dieci quindici anni. Stamnno facendo lo stesso con l'inceneritore perchè non sanno guardare al di là del loro naso, ma possibile che a Montale non hanno arrestato nessuno?

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busy
Ultimo aggiornamento ( lunedì 12 maggio 2008 )
 
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