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Ercolini ospite del "Pianeta Terra Festival"

 

 

Sabato 8 ottobre alle ore 19 presso la sala sala convegni di Confindustria toscana nord sita a Lucca in piazza Bernardini, 41 Rossano Ercolini, goldman environmental prize 2013, sarà ospite del Pianeta Terra festival, che vede studiosi nazionali e internazionali confrontarsi per costruire una visione nuova per il futuro del nostro Pianeta.

All’evento, dal titolo “Dall’ego-logia all’eco-logia: quando i cittadini possono fare la differenza”, sarà presente con Ercolini anche Samir de Chadarevian, advisor, storyteller ed editorialista.

Entrambi dialogheranno con Irene Ivoi sull’importanza di ripensare ad un modello economico, antropologico e culturale del tutto ego-logico e inadeguato a risolvere le grandi sfide dei nostri tempi.

Dall’ego-logia all’eco-logia, un gioco di parole che fa appello ad una sfida:  il passaggio dal “modello lineare” (estrazione, produzione, consumo, smaltimento) centrato sullo sfruttamento sconsiderato della natura al “modello circolare” basato sul rispetto dei tempi e dei modi della rigenerazione ambientale.

L’ingresso all’incontro è gratuito fino ad esaurimento posti.

 

 

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Il nuovo per Confindustria è il vecchio nel mondo PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
giovedì 01 maggio 2008

http://www.greenreport.it/contenuti/leggi.php?id_cont=13249

30/04/2008

(Gli anacronistici appetiti e progetti che hanno sottoscritto in modo bipartisan i due schieramenti in lizza per il governo del Paese. A dispetto del buonsenso e delle vere necessità del Paese)

Il nuovo per Confindustria è il vecchio nel mondo
di Lucia Venturi

LIVORNO. Nella relazione che accompagna il programma di lavoro della prossima presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che si insedierà nei prossimi giorni a capo dell’associazione delle imprese, viene rimarcata la «necessità di collegare la crescita ai problemi energetici e ambientali». Un’apertura importante da parte del mondo delle imprese verso la sostenibilità. Ma l’anima conservatrice confindustriale emerge, con grande forza, nell’editoriale che oggi scrive il direttore Maurizio Beretta in prima pagina sul Sole24Ore. Per la crescita, che viene indicata come obiettivo strategico per l’Italia, (e in questo non in dissonanza naturalmente con la neo presidente) è altrettanto strategico dare priorità alle grandi opere infrastrutturali.

Beretta scrive infatti che questa è una «leva essenziale per rilanciare l’insufficiente crescita economica», uno strumento necessario «per non vanificare gli investimenti in maggiore competitività delle imprese» per il fatto che «merci e materie prime restano ferme per ore su vie di comunicazione sature e congestionate», «un buon affare per i contribuenti e i cittadini», «una scelta senza alternative se vogliamo evitare il rischio del declino», «un valore anche simbolico».

Naturalmente non dimentica di sottolineare che «analisi puntuali sono necessarie anche per scegliere le priorità d’investimento» e che «gli investimenti devono riguardare anche quei gangli vitali che sono le città». Forte del fatto che questo schema «sembra oggi condiviso da tutte le forze politiche rappresentate nel nuovo parlamento», l’appello di Beretta è quindi: avanti tutta col cemento. Senza perdere tempo a valutare costi e benefici dei progetti che riguardano almeno le infrastrutture già in campo, come invece richiamava Roberto Perotti dell’Università bocconi qualche giorno fa (sempre sul Sole24 ore); e soprattutto senza permettere che la spinta propulsiva verso le grandi opere “modernizzatici” venga intaccata da qualche scrupolo riguardo a quanto dovrà essere richiesto agli italiani per renderla possibile.

«Alla tipica famiglia di quattro persone vengono richiesti 4mila euro per l’Alta velocità» scriveva Perotti e l’abbattimento dell’1% delle emissioni grazie alla Torino Lione verrebbe a costare 16miliardi da ripartire tra i contribuenti, a fronte di una «perdita in valore attuale netta per la società di 25 miliardi, includendo i risparmi di tempo di percorrenza, le minori emissioni, la diminuzione degli incidenti stradali» continua Perotti «secondo l’unico tentativo di analisi costi-benefici seria della Torino Lione, di Remi Proud’Homme su la voce.info». Senza scomodare i problemi ambientali, sono quelli economici che mostrano quanto l’appello del direttore di Confindustria sappia di stantio.

Quanto richiami alla luce i vetusti modelli degli anni 50, l’epoca della (necessaria) ricostruzione del dopoguerra; del boom economico foriero di una nuova fiducia nel futuro, dopo il dramma del conflitto mondiale. Ma quanto siano invece assai poco innovativi e capaci di futuro nel mondo attuale, che ha un estremo bisogno di liberarsi di un modello economico assai datato, assecondato dagli aiuti di stato (che adesso interverranno anche per mantenere in vita con accanimento terapeutico la compagnia aerea di bandiera, a proposito della politica dei segni), per lasciare spazio ad una economia basata sull’innovazione tecnologica, sul minore utilizzo di materie prime (compreso il suolo), sull’innovazione dei processi, sullo sviluppo di energie alternative, sull’erogazione dei servizi anziché sul consumo, sulla conservazione e la crescita (quella sì moderna) del capitale naturale anziché sul suo depauperamento.

Un’economia che senza dubbio ha bisogno anche di una rete inftrastrutturale efficiente, di trasporti su ferro per le merci e le persone. Ma sarebbe bene, nel confronto che Beretta fa con gli altri paesi europei sull’estensione delle ferrovie. non limitarsi solo all’alta velocità, quando abbiamo un paese che ha ancora intere linee ferroviarie a binario unico, collegamenti ottocenteschi tra le due sponde, quando si rarefanno, anziché intensificarsi, i collegamenti via mare, pur avendo l’Italia oltre 8000 chilometri di coste.

E’ facile allora evocare anche il valore simbolico di certe opere, quali il ponte sullo stretto di Messina, su cui si riscaldano già gli appetiti (e non solo degli imprenditori di Confindustria), quando i benefici ricadono solo da una parte (quella delle imprese) e i costi (tanto per non cambiare) solo sulla collettività.

Commenti (2) >> feed
E' l'appalto che giustifica l'opera non la sua utilità; fino a che Pantalone paga e sta zitto...
scritto da ***, maggio 01, 2008

"Il Sole 24 Ore" 27 aprile 2008
(pgg.1 e 2 ) - a firma Roberto Perotti (Università
Bocconi ) -titolo " Sei domande sulle nuove infrastrutture
pubbliche". Analisi costi benefici, valutazioni sull' interesse pubblico vs Mercato..... Ecc.

Sei domande sulle nuove infrastrutture pubbliche
di Roberto Perotti
Nessun imprenditore decide un investimento senza averne prima studiato con cura i costi e i benefici sotto diversi scenari possibili. Ma a questa procedura non hanno diritto i cittadini italiani, cui viene chiesto di finanziare le infrastrutture (almeno 1.000 euro a testa solo per l'Alta Velocità) senza che sia mai stata fatta un'analisi
costi-benefici seria di alcun progetto. Sgombriamo subito il campo da un equivoco: si dice spesso che alcune di queste infrastrutture hanno un valore simbolico, e che sarebbe miope fermarsi ad un ragionieristico confronto tra costi e benefici. Forse. Ma per un Paese niente ha un
valore simbolico maggiore della compagnia di bandiera, eppure gli imprenditori italiani si sono ben guardati (giustamente) dal mettere mano al portafoglio per Alitalia: perché mai dovrebbero chiedere agli italiani di fare diversamente con l'Alta Velocità? Si dirà che degli studi esistono. Ma essi sono lontani dagli standard
internazionali, e sono spesso poco più che documenti di propaganda politica. Per esempio, sulla Torino-Lione uno studio assai citato della Commissione europea si basa sull'ipotesi assurda di un aumento dei transiti ferroviari merci tra Italia e Francia di circa sei volte di qui
al 2030, quando negli ultimi dieci anni sono scesi di oltre il 40 per cento. L'unico tentativo di analisi costi-benefici seria per la Torino-Lione, quella di Rémi Proud'homme su la voce.info, mostra una perdita in valore attuale netta per la società di 25 miliardi, includendo i risparmi di tempo di percorrenza, le minori emissioni, la diminuzione degli incidenti stradali.
Il ponte sullo Stretto non è da meno: come hanno denunciato Andrea Boitani e Marco Ponti, fu dichiarato fattibile in base ad un'analisi di valore aggiunto, che stima (generosamente) i benefici sull'economia locale ma ignora i costi. E nonostante l'enorme aumento dei costi (per l'Alta Velocità di tre volte) rispetto alle previsioni iniziali, non si è controllato che gli investimenti rimanessero vantaggiosi.
Dunque alla tipica famiglia di quattro persone vengono chiesti 4mila euro solo per l'Alta Velocità senza alcun dibattito, quando per poche centinaia di euro fra tasse, sussidi e detrazioni di una tipica Finanziaria ci si scanna per mesi interi. Perché grandi imprese, media e politici di tutti gli schieramenti hanno collaborato per anni a stendere un muro di omertà su questi argomenti?
Se i vantaggi sono così ovvi, perché tanta paura di un'analisi costi-benefici seria affidata ad un ente indipendente? Ma solo la retorica è consentita. «Non possiamo restare tagliati fuori dall'Europa»
diceva Ciampi: ma tutte le modalità di trasporto esistenti per la Francia sono lontanissime dalla saturazione. E per la governatrice del Piemonte Mercedes Bresso «la Torino-Lione è un'opera essenziale per abbattere lo smog»: ma come ha mostrato Francesco Ramella, anche azzerando il traffico di Tir verso la Francia, le emissioni piemontesi
si ridurrebbero dell'1%, al prezzo di 16 miliardi per il contribuente.
Sicuramente ci sono modi più efficienti per ottenere questo risultato irrisorio.
Certo, dati e fatti diventano irrilevanti se contano solo i simboli. Ma cosa avrebbe un valore simbolico maggiore, sia per i cittadini italiani sia per l'immagine del nostro Paese all'estero: una galleria ferroviaria in più o far rinascere le nostre città sempre più degradate, invivibili
e impresentabili, liberandole da graffiti, sporcizia , disordine e microcriminalità? Si può rispondere che infrastrutture e rinascita urbana non sono incompatibili; ma la realtà è che l'enfasi sulle prime distoglie il dibattito e le risorse dalla seconda. Per questa è
necessario soltanto un oscuro lavoro di ordinaria amministrazione, che avrebbe risultati più tangibili ad un costo inferiore. Ma, ahimè, è anche un lavoro meno gratificante politicamente e personalmente che procurarsi infrastrutture e grandi eventi.
Nessun imprenditore farebbe eseguire un piano di investimenti colossale da un management che ha generato perdite per venti anni di fila. Eppure agli italiani viene chiesto di affidare sulla fiducia un giocattolo da
70 miliardi di euro a un'organizzazione, le Ferrovie dello Stato, che è riuscita ad aumentare i tempi di percorrenza sulla Milano-Treviglio nonostante in quadruplicamento della tratta, e sulla Milano-Reggio Calabria nonostante la costruzione della direttissima Firenze-Roma.
Un'organizzazione che da anni non riesce a risolvere un problema elementare come la pulizia dei treni, i quali anzi diventano sempre più sporchi e puzzolenti nonostante decine di proclami. Ancora una volta, che cosa sarebbe più utile per l'immagine del Paese: ripulire i treni
utilizzati da milioni di turisti stranieri o fare una galleria di dubbia utilità a costi esorbitanti sotto una montagna che nessuno visita?
I veti aprioristici degli ambientalisti sono forse antistorici, ma perché impedire qualsiasi riflessione sull'effetto di questi investimenti sul paesaggio, che rimane sempre uno dei principali asset del nostro Paese? Eppure non si può disconoscere che i lavori
infrastrutturali hanno avuto spesso effetti dirompenti da questo punto di vista. Nonostante i loro eccessi, gli ambientalisti anno ragione: deturpare una vallata per ridurre le emissioni dell'1% al costo di 16 miliardi è un buon investimento per le imprese appaltatrici, ma non per
il Paese.
Infine, da più parti si sentono profonde preoccupazioni per l'impatto che opere come il ponte sullo Stretto possono avere sulla criminalità organizzata. La 'ndrangheta uccide per un appalto pubblico di pochi
milioni in un piccolo comune calabrese: possiamo ben immaginare che appetiti scatenerà un appalto da miliardi di euro. È un problema simbolico anche questo?
Forse gli imprenditori hanno delle risposte ovvie e convincenti a tutte queste domande. Se è così, saremo tutti lieti di conoscerle. Ma per il rispetto dei cittadini italiani, per una volta lasciamo perdere la
retorica.


Commento al commento
scritto da msirca, maggio 01, 2008

Apprezzabile nell'insieme, considerato che scrive per la voce del padrone (infatti arriva subito la replica di Beretta più ossequioso dello sviluppismo per lo sviluppismo a ripristinare la linea), ma c'è qualche inesattezza. I costi citati da Perotti sono sottostimati, l'AV costa/costerà più di 2000€ "a testa", non 4000€ a famiglia, pertanto il danno alla popolazione che paga è immenso: Pensate che una analisi comparata dei costi fatta dal prof. Ivan Cicconi ha scoperto (parlo di scoperta perchè non è che ce lo vengono a dire i giornali..) che rispetto all'AV giapponese, spagnola e francese costate una media 9,5 milioni di euro al Km la tratta Bologna-Firenze (che se arrivasse a fine e andasse bene farebbe risparmiare circa 10 minuti di tempo rispetto a ora) ebbene è costata finora più di 96 milioni di euro al Km (senza contare gli immensi immisurabili e insanabili danni alle acque sotterranee ai pozzi alle fonti e sorgenti ai terreni inquinati e sprofondati bene cose che non hanno prezzo). Avete capito bene circa 9 a 96 ma in quelle nazioni hanno costi compreso tutto, qui mancano ancora i costi dei nodi di penetrazione nelle città tappa (nel caso di Firenze che pur potendo concluderla egregiamente in superfice ha scelto il sottoattraversamento) insomma il Perotti pensa male se vede i veti degli ambientalisi come "aprioristici" evidentemente crede di poter egli solamente fare analisi adeguate delle situazione volta volta in oggetto ma la storia dimostra che davvero non sono nè aprioristici e nè antistorici.

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Ultimo aggiornamento ( giovedì 01 maggio 2008 )
 
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