http://www.ehabitat.it/2017/03/15/biodiserbante-intervista-daniela-ducato/
In un periodo di evidente crisi economica è possibile
fare impresa in modo rispettoso dell’ambiente, etico e ottenere
degli ottimi risultati? Sì, ne abbiamo parlato con Daniela Ducato.
..... Altro consiglio, prendete ispirazione dalla natura!
Noi per le nostre innovazioni abbiamo studiato gli animali, i pesci, le foglie,
i frutti e il mare. Abbiamo unito l’alta tecnologia industriale con la poesia.
Per fare innovazione c’è anche bisogno della letteratura, del cinema, della
musica, dei disegni dei bambini, non solo dei laboratori di ricerca.”
La filosofia della filiera di aziende produttive
Edizero mixa la sostenibilità ambientale con quella sociale ed economica.
Il rispetto del territorio non è l’unica priorità, c’è anche una concreta
attenzione per le persone e per una gestione sostenibile del denaro.
In un mondo in cui c’è tanto greenwashing e poca sostanza, c’è chi,
nonostante le difficoltà, realizza progetti sostenibili a 360 gradi.
In un periodo di evidente crisi economica è possibile
fare impresa in modo rispettoso dell’ambiente, etico e ottenere
degli ottimi risultati? Sì, ne abbiamo parlato con Daniela Ducato.
Cavaliere della Repubblica italiana, personaggio più innovativo
d’Europa nel settore dell’edilizia verde nel 2013 e leader di Edizero
Architecture of Peace, filiera produttiva di aziende, premiata
al World Economic Forum di New
Delhi come una delle 10 eccellenze tecnologiche sostenibili del mondo,
Daniela Ducato è uno degli esempi italiani di un modo di fare impresa pulito,
sano e produttivo.
Ma quali sono i prodotti naturali che le
aziende dell’eco-imprenditrice hanno realizzato? Qual è il segreto di
questo sistema collaborativo che dalla Sardegna è arrivato al mondo?
Ecco l’intervista.
Nell’immaginario comune i diserbanti
sono dannosi per l’ambiente e per la salute dell’uomo. In realtà non è sempre
così! Con Ortolana, azienda appartenente al circuito Edizero, avete realizzato
Natural Weed Control, un diserbante totalmente ecologico a base di olio
d’oliva, miele, lana e Malvasia. Come funziona?
“Il nostro prodotto nasce dall’interazione con altre
aziende che fanno ricerca e innovazione. È un risultato corale, non di una sola
impresa o personale, ma è proprio una comunione di intelligenze. È il frutto di
un lavoro multidisciplinare: gli studi sui poteri isolanti che sono insiti del
nostro know-how edilizio e la parte legata all’agricoltura che è,
invece, ambito dei fratelli Cavalli una delle aziende partner che si occupa di
strumenti per la gestione innovativa e sostenibile dell’agricoltura. Hanno
avuto un ruolo incisivo anche i laboratori di ingegneria del territorio e di
ingegneria agricola. Il nostro lavoro è stato quello di riportare gli
stessi principi dell’isolamento termico igrometrico in edilizia e di
trasferirli all’agricoltura. Ci sono diversi prodotti in commercio che agiscono
con l’alta temperatura però solo momentaneamente. Noi, invece, abbiamo
realizzato un cappotto termico composto da estratti di olio di oliva,
idrolizzato di lana di pecora, Malvasia e altri ingredienti in base alla
tipologia dell’intervento. Questa sorta di “campana di vetro” mantiene più a
lungo il calore: lo shock termico aiuta a eliminare l’infestante senza
inquinare il suolo e, soprattutto, senza impoverirlo. Dopo l’intervento, il
terreno risulta arricchito perché i componenti, in particolar modo la lana,
cedono anche sostanze nutritive.
Il
sistema si compone del bio-diserbante che realizziamo noi e dei macchinari con
cui si fa la somministrazione del prodotto stesso. Ci sono i macchinari
realizzati appositamente per i vigneti e i frutteti, e quelli impiegati,
invece, per la gestione del verde urbano. Spesso si trattano delle aree vicine
alle scuole, agli ospedali e alle zone residenziali con i diserbanti tossici,
questi contengono sostanze che vengono respirate causando un danno per la
salute dell’uomo e dell’ambiente. Alcuni Comuni che sono avviati verso una
gestione sostenibile e responsabile delle loro città e dei loro paesi hanno
subito voluto utilizzare questa nuova tecnologia ecologica. La città di
Cagliari è stata la prima al mondo a utilizzare il nostro bio-diserbante, ma
l’abbiamo venduto anche fuori dall’Italia, per esempio, a San Francisco e in Cina. Ci fa piacere
che venga utilizzato anche fuori
dai confini europei perché questo significa che c’è
una sempre maggiore coscienza sostenibile della cosa pubblica.”
Viviamo in periodo storico in cui
“l’usa e getta” è quasi la normalità e spesso non ci rendiamo conto che quello
che buttiamo nella spazzatura, alcune volte, può avere una nuova vita. Per lei
lo scarto è un’eccedenza. Cosa ha realizzato in questi anni con le eccedenze?
“Abbiamo realizzato oltre 100 diversi prodotti con
l’utilizzo di più di 100 eccedenze che provengono dall’agricoltura, dal
boschivo e dal food. Quando parliamo di spreco, soprattutto
nel campo del food, ci riferiamo principalmente al cibo invenduto, a quello
scaduto oppure a quello che non viene mangiato e si butta via, dimenticando
però che lo spreco più importante in assoluto in termini di inquinamento e di
numeri è quello delle sottolavorazioni. Per esempio, il vino: dal grappolo fino
al bicchiere ci arriva il 20%, tutto il resto non è commestibile. Oppure
pensiamo ai carciofi sott’olio, se pesassimo il prodotto prima della
lavorazione e quello finito, capiremo che è rimasto solo il 15/18%.
Ma quel carciofo originario ha utilizzato la terra,
l’acqua, la manodopera degli operai, è stato lavorato e ha usufruito
dell’energia. Quindi quell’80% che non arriva a tavola ha, però, avuto un costo
e un peso notevolissimo a livello ambientale. Noi lavoriamo su questi scarti
che chiamiamo eccedenze! L’eccedenza contiene al suo interno i termini
abbondanza e dono. Per utilizzarle ci vuole un’alta tecnologia industriale
perché, per esempio, le bucce dei pomodori (che noi usiamo per ottenere dei
colori) dopo meno di 24 ore marciscono, quindi bisogna saperle trattare e
trasformare.
Per noi, le eccedenze dell’agricoltura diventano anche
i colori dell’architettura. Abbiamo creato la tavola dei colori dei vini di
ogni regione d’Italia, che diventano poi i colori utilizzati per dipingere gli edifici.
Non c’è solo il recupero di qualcosa che,
altrimenti, verrebbe sprecato ma anche il racconto del locale, del territorio e
dei suoi colori. Produrre in Italia vuole dire raccontare l’Italia, quella
bella,
pulita e dai
meravigliosi paesaggi da cui ci arrivano le eccedenze che noi trasformiamo
grazie alla tecnologia e a un mix di intelligenze.”
Le sue aziende nascono e operano in Sardegna, isola
conosciuta e amata per le bellezze naturali, ma segnata da una crisi economica
evidente. Nonostante alcuni svantaggi che l’insularità comporta, i
riconoscimenti e i premi che lei e le sue imprese avete ricevuto sia a livello
nazionale sia internazionale sono numerosi e prestigiosi. Edizero, per esempio,
è una delle dieci eccellenze tecnologiche del mondo. Qual è il vostro segreto?
“Noi viviamo in un’isola meravigliosa che, come altre
realtà del Mezzogiorno, ha risentito molto di un eccesso di assistenzialismo. L’assistenzialismo
non aiuta lo sviluppo dei luoghi perché essere assistiti vuole dire essere
ostaggio. Inoltre, i fondi pubblici passano attraverso la politica partitica
questo significa essere in ostaggio della tua terra e di un modo di fare
politica che deve evolversi. Noi abbiamo rifiutato da subito l’idea di essere
iperfinanziati. Mi spiego meglio: un micro finanziamento può far bene.
Ma le aziende vanno aiutate, non dopate! Per questo motivo abbiamo rifiutato
dei finanziamenti corposi. Nel 2006 facevamo parte di un gruppo di aziende
chiamate per fare innovazione sulla lana di pecora, dopo
la verifica del business plan avevamo chiaramente detto che l’importo finale
era trenta volte in più rispetto a quello che serviva per concretizzare il
progetto. Un prodotto sostenibile deve provenire da un’altrettanta gestione
economica sostenibile e non dallo spreco di denaro pubblico. Per cui
abbiamo deciso di realizzarlo per conto nostro, creando delle sinergie a
livello locale. Non eravamo e non siamo ricchi, abbiamo capito che dovevamo
recuperare tutto quello che c’era, anche l’industria in crisi che aveva delle
competenze e così, senza usare soldi pubblici, siamo andati avanti.
Il nostro segreto è aver guardato il modo con gli
occhi della collaborazione, della cooperazione e della ricchezza
e non con quelli del denaro. Ricchezza non è solo denaro, è anche danaro, ma
anche tante altre cose. Questa è la forza che ci fa andare sempre avanti.”
Fare impresa in modo sostenibile
ottenendo degli ottimi risultati è possibile e le sue imprese ne sono un valido
esempio. Vorrebbe dare qualche consiglio a coloro che hanno intenzione di
lavorare in questo settore?
“Un primo consiglio è non farsi affascinare dal
finanziamento facile, perché se si guardano solo i soldi si perdono di vista
tante cose. Il denaro serve, ma in modo calibrato!
L’altra cosa è che naturale e rinnovabile non vuole
dire innocuo. Posso innamorarmi di una materia prima, ma bisogna tenere in
mente che può contenere delle sostanze nocive come pesticidi e residuali,
quindi bisogna sempre avere una tracciabilità.
Per coltivare le materie prime, alcune volte, si
toglie spazio a qualcuno o gli si reca danno.”
Per esempio, c’è una grande moda del kenaf, che
è una malvacea. Molto spesso, per la produzione del kenaf vengono sfruttate le
risorse naturali e umane dei Paesi in via di sviluppo. Si riscontra anche un
abuso salariale soprattutto sulle donne, la cui manodopera viene retribuita
molto meno rispetto agli uomini. Queste materie prime vengono poi trasformate
in altri Paesi per la realizzazione di prodotti ecosostenibili.
Facendo così però sono stati impoveriti i territori e sfruttate le popolazioni
locali. Bisogna, quindi, pensare al nostro pianeta e avere anche un’idea del
rispetto della salute e della dignità delle persone. Soprattutto, bisogna
tenere conto della parità di genere: i salari delle donne sono inferiori
rispetto a quelli degli uomini e per questo vengono spesso inserite nel circuito
della green economy. C’è una green economy molto green, ma poco pink,
quando invece dovrebbe essere basata sul riconoscimento delle differenze. Il
prodotto può essere bello ed ecologico, ma bisogna raccontare anche le storie
delle mani che ho hanno realizzato.
Altro consiglio, prendete ispirazione dalla natura!
Noi per le nostre innovazioni abbiamo studiato gli animali, i pesci, le foglie,
i frutti e il mare. Abbiamo unito l’alta tecnologia industriale con la poesia.
Per fare innovazione c’è anche bisogno della letteratura, del cinema, della
musica, dei disegni dei bambini, non solo dei laboratori di ricerca.”
La filosofia della filiera di aziende produttive
Edizero mixa la sostenibilità ambientale con quella sociale ed economica.
Il rispetto del territorio non è l’unica priorità, c’è anche una concreta
attenzione per le persone e per una gestione sostenibile del denaro.
In un mondo in cui c’è tanto greenwashing e poca sostanza, c’è chi,
nonostante le difficoltà, realizza progetti sostenibili a 360 gradi.
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