La storia si ripete e si ripeterà...
Scritto da Redazione   
martedì 07 luglio 2009

... È la storia di Romana Blasotti Pavesi, la vita segnata dal lutto. Il cuore spezzato dalla morte di quelli che amava di più. Composta nella sua disperazione ha tenuto la mano nelle ultime ore di vita a suo marito, alla sorella, al nipote e alla cugina. Poi, quando la morte sembrava essersi già presa tutto l’ultima, dolorosissima, prova: la malattia, senza speranza di guarigione, della figlia.

Una famiglia spezzata dall’amianto

Romana Blasotti racconta la sua storia

Il dolore e la richiesta di chiarezza di chi ha visto “uccidere” il marito, la figlia, la sorella, il nipote e una cugina

TORONTO - L’amore. Il dolore che invade ogni spazio più intimo. La voglia di lottare. La forza di chi ha perso tutto e non riesce più nemmeno ad aver paura. Un solo desiderio: giustizia, l’ultima, inarrestabile volontà.

«Ho perso le lacrime, ma ho talmente tanta voglia di rendere giustizia ai miei cari. Non so dove trovo la forza. Me lo chiedono in tanti e me lo domando anche io. Dopo la morte di mia figlia non sono più la stessa. Per la perdita di Maria Rosa non ho saputo piangere e ora voglio solo farle giustizia».

È la storia di Romana Blasotti Pavesi, la vita segnata dal lutto. Il cuore spezzato dalla morte di quelli che amava di più. Composta nella sua disperazione ha tenuto la mano nelle ultime ore di vita a suo marito, alla sorella, al nipote e alla cugina. Poi, quando la morte sembrava essersi già presa tutto l’ultima, dolorosissima, prova: la malattia, senza speranza di guarigione, della figlia. Cinque vittime proprio nella sua famiglia, mentre le morti tra gli amici più cari e i vicini di casa ha, ormai, smesso di contarle. Ad uccidere, però, non è stata una guerra e nemmeno un disastro naturale.

Romana Blasotti vive a Casale Monferrato e il boia senza volto, di questa guerra senza cause, è l’amianto. Ora l’obiettivo di questa donna, che lotta insieme a tanti altri tra ammalati e familiari, è quello di far pagare il conto a chi ha armato la mano di questo infimo assassino. E cercano di farlo nell’aula del tribunale di Torino, dove sul banco degli imputati oggi torneranno a sedere i presunti mandanti di questa strage silenziosa. Sono i responsabili dell’azienda Eternit, quelli che, secondo l’accusa, sapevano e tacevano; conoscevano la pericolosità di questo materiale mentre lo facevano lavorare dai dipendenti e ne regalavano gli scarti.

La lotta a Casale Monferrato è iniziata oltre trenta anni fa e un passo dopo l’altro, tra tantissime difficoltà, facendosi spazio tra i silenzi e le paure, è arrivata a un processo. Romana Blasotti è la presidente dell’associazione delle famiglie. Lei con la sua storia di dolore e l’incredibile forza d’animo è il simbolo di un “popolo” che non vuole tacere. «Dopo anni di lotte siamo arrivati a un processo contro due responsabili dello stabilimento e andremo avanti».

Romana Blasotti ha la voce ferma e decisa, ma sempre tranquilla, inizia a parlare e i commoventi passaggi del suo racconto di vita si mescolano con le “dichiarazioni di lotta”.

«Quando mio marito si è ammalato ero arrabbiata. Arrabbiatissima. Non capivo e mi sembrava una cosa incredibile che si potesse morire di lavoro». Il primo ad ammalarsi nella famiglia di Romana è stato il marito, era il 1982, Mario Pavesi aveva 59 anni ed era in pensione, per diciassette anni aveva lavorato nello stabilimento dell’Eternit. Un dolore alla schiena, che diventava sempre più forte, questo il primo sintomo, i medici avevano diagnosticato un’artrosi, ma erano pagati dall’azienda. «I lavoratori dell’Eternit avevano la possibilità di fare visite e lastre pagate, ma se volevano sapere che cosa avevano, veramente, dovevano andare altrove - racconta Romana Blasotti Pavesi - Erano ormai mesi che il dolore tormentava Mario, io e i miei figli volevamo che andasse a fare una visita privata. Lui però continuava a rimandare, aveva paura, perché si era reso conto che i suoi colleghi si ammalavano e morivano». Alla fine Mario Pavesi si fece visitare e nei referti non c’era scritto artrite; il suo male si chiamava asbestosi ed era letale. La malattia fu dolorosissima e Mario morì prima di compiere 61 anni, nel maggio del 1983. «Per me e i figli è stato molto doloroso e anche una sorpresa. Lui sapeva che nella ditta c’era qualcosa che non andava, che la gente si ammalava, ma con noi non ne parlava - racconta - La paura era padrona di tutti i lavoratori dell’Eternit, l’aria era irrespirabile e c’erano state molte lotte sindacali per la sicurezza. Si iniziava a sapere che l’ambiente di lavoro non era sano». Ma la questione non riguardava solo la fabbrica, tutto il casalese era pieno di amianto e iniziavano ad ammalarsi anche i cittadini. Romana Blasotti, addolorata e arrabbiata per quanto stava succedendo al marito, decise di rivolgersi alla Cgil prima che il marito morisse, voleva giustizia. «Iniziammo a fare assemblee a spiegare alla gente quello che stava succedendo, ma era difficile, nessuno voleva ammettere che le cose erano serie. Molti giovani non volevano mettersi contro lo stabilimento perché non trovavano un altro lavoro».

Romana Blasotti racconta che la fabbrica a Casale era un’istituzione. Era stata aperta nel 1906 ed era cresciuta nel tempo fino ad arrivare a 3mila operai, poi negli anni ’80 il lavoro era diminuito. Ma l’amianto nel paese era ovunque: nelle coperture dei tetti, negli ospedali, nelle scuole, nella caserma.

La fabbrica regalava gli scarti agli operai e venivano usati per pavimentare i cortili, per coibentare le case. Le tubature dell’acqua, della luce e del gas erano di amianto. Insomma nessuno era davvero al sicuro, l’amianto era ovunque, i cittadini comuni si ammalavano e morivano.

«Dopo sette anni dalla morte di mio marito, nel 1989, si è ammalata mia sorella ed è morta dopo 16 mesi di malattia. Aveva 59 anni e non aveva mai lavorato all’Eternit». Nel 2003 Romana perse anche il nipote e poi una cugina. «A Casale sono oltre 2500 i morti tra ex dipendenti e cittadini. E ogni anno la gente continua ad ammalarsi. La latenza dell’amianto è di oltre 40 anni, non abbiamo scampo».

Il momento più duro per questa donna è arrivato nel 2004. La figlia Maria Rosa si è ammalata, un tumore dolorosissimo che l’ha consumata in soli cinque mesi. «Mia figlia aveva 50 anni, è caduta e si è fatta male a una costola, in ospedale le hanno fatto le lastre e i medici non hanno dovuto dirle niente - continua a parlare e la voce adesso si fa più stanca - Ha visto le sue lastre e si è accorta che erano uguali a quelle del padre, non sono servite parole, conosceva già il suo destino. Aveva un mesotelioma come suo papà. Per noi è stato un momento terribile, io non mi aspettavo che la malattia avrebbe colpito ancora la mia famiglia».

La sua famiglia è stata spezzata dal dolore, dalla morte, ma lei non vuole piegare la testa, la giustizia adesso è la sua ragione di vita. Sentirla parlare, percepire la sua determinazione è commovente, sembra incredibile come riesca ad andare avanti e non farsi sopraffare dalla disperazione, dalla paura di questa malattia mortale che sembra segnare la storia di Casale.

«Io non voglio vivere con la paura. Per me sapere di mia figlia è stata una vera bomba. La sua perdita è arrivata dopo quella di mio marito che amavo, di mia sorella che mi era molto cara, di mio nipote che era così giovane e di mia cugina alla quale ero legatissima e a quelle di tanti amici e concittadini. Sono stati trenta anni duri - racconta - per i miei morti voglio solo giustizia. Spero che questo processo possa segnare una nuova era ed essere da esempio a chi viene dopo. Non so come andranno le cose, gli imputati sono molto ricchi e potenti, non sono sicura che vinceremo contro di loro, ma essere arrivati in tribunale è già un traguardo».

Data pubblicazione: 2009-07-06

Indirizzo pagina originale: http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=89017

http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=89017&page=1

Commenti
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scritto da bolina, luglio 09, 2009

si ripeterà a causa degli inceneritori che molti decisori politici insistono a voler costruire nonostante la contabilità mortuaria sia già molto corposa


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