ANIDA impiantisti etc: "pancia mia fatti capanna..." |
Scritto da msirca | |
domenica 29 giugno 2008 | |
Da La Repubblica Finanza del 23 giugno
Rifiuti: l'affare “sporco” con lo stesso fatturato delle telecomunicazioni.... Da La Repubblica Finanza del 23 giugnoRifiuti: l'affare “sporco” con lo stesso fatturato delletelecomunicazioni DELLE QUALI FATTURA MENO DI MEZZO MILIONE. LE AZIENDE PIU’ HITECH NON RIESCONO A VENDERE LE LORO SOLUZIONI TECNOLOGICHE A COMUNI E REGIONI MA REALIZZANO IMPIANTI ALL'ESTERO STRATEGIE / NON C'E’ SOLO IL SETTORE PUBBLICO DELLE MUNICIPALIZZATE: ACCANTO, IN ITALIA CI SONO OLTRE 3.500 IMPRESE PRIVATE STEFANO CARLI L'immondizia oggi, per gli italiani, è l'emergenza di Napoli, i sacchi di immondizia per le strade e i cittadini con la mascherina. E forse tra poco sarà l'emergenza Lazio, che molti temono possa scoppiare da un momento all'altro. Ma l'immondizia è anche un'industria, un mercato, una merce e una materia prima. E questa è una realtà che si conosce certamente meno. Ma che non è piccola: il mercato dei rifiuti e dell'immondizia in Italia, vale quanto quello delle tlc. Le discariche come l'hitech? E' paradossale ma è così: entrambi valgano tra i 40 e i 50 miliardi di euro. I rifiuti anche qualcosa in più Numeri ne esistono pochi. Aziende, invece, sono un'intera galassia: siamo intorno alle 3.500 in Italia. E crescono anziché diminuire, come avviene invece all'estero. In Francia, come sempre più organizzata di noi, le prime quattro aziende hanno l'80% del mercato. Le prime due, poi, sono giganti come Suez e Veolia, la ex Vivendi Environment. Negli Usa due gruppi, Wai e Republic, stanno dando vita ad una fusione da oltre 6 miliardi di dollari. «Da noi – spiega Giancarlo Longhi, direttore generali del Conai, il consorzio per il recupero degli imballaggi, una delle realtà più organizzate del settore – la metà di quelle 3.500 aziende non arriva a un fatturato di mezzo milione di euro». Un settore polverizzato, insomma. Anche se va detto che raccoglie di tutto, dai gruppi di impiantistica all'ultimo sfasciacarrozze. E stiamo parlando del solo settore privato, senza cioè contare le municipalizzate e tutto il settore pubblico raccolto in Federambiente, che da sola dovrebbe valere altri 5 miliardi di euro. Ma la frammentazione non si ferma qui. In Confindustria ci sono tre diverse associazioni che ne rappresentano parti, dall'Anida, impianti e gestione, all'Unire, che si occupa di recupero e riciclaggio dei rifiuti, alla FiseAssoambiente, che rappresenta quelle che operano solo nel campo dei servizi. Anche se va detto che poi tutti fanno un po' di tutto: sempre più spesso chi fa impianti li gestisce anche, e molti gruppi sono presenti a più livelli della filiera. Ora sta per cadere anche l'ultima e anche l'unica barriera, che ha diviso finora rigidamente almeno due di queste realtà: le municipalizzate e gli impiantisti. Finora infatti le prime bandivano le gare per la gestione e i secondi realizzavano gli impianti. Ma sempre più spesso le realtà dell'impiantistica si occupano anche di gestione. E tra poco si troveranno a fronteggiare la concorrenza delle grandi municipalizzate, come Hera e A2A, che vogliono entrare nel campo della realizzazionedegli impianti. I nomi dei maggiori operatori dicono poco al grande pubblico. Tolta Fisia Italimpianti di Impregilo, si chiamano Rea Dalmine, che fa capo al gruppo Green Holding; Termomeccanica (la ex Breda Termomeccanica) oggi controllata da Enzo Papi e che ha ceduto da poco il 75% dell'attività di trattamento rifiuti alla francese Veolia; il gruppo Gesenu, che fa capo a Manlio Cerroni, noto a Roma come il padrone di Malagrotta, la più grande discarica europea, e considerato uno degli uomini più `liquidi' d'Italia e, secondo i più maligni, la vera eminenza grigia di Roma. Adesso questo universo è in fermento. L'emergenza Napoli, il nuovo governo di centrodestra, il caropetrolio, potrebbero dare una spinta al settore. Farlo crescere. E sarebbe un bene, perché se crescesse avremmo sicuramente meno immondizia. Non solo per le strade. Tutto il comparto, a livello mondiale, va infatti in un'unica e ambiziosa direzione: la scomparsa delle discariche. Che sono un problema oggi quasi solo italiano. Perché in questo mondo `discarica' è sinonimo di un sistema gestito secondo i criteri di trent'anni fa. Per capire le connessioni tra caro petrolio, sviluppo del settore e scomparsa delle discariche bisogna seguire però il percorso dei nostri rifiuti. In Italia in un anno produciamo 33 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, quelli delle famiglie e delle città, e 130 milioni di tonnellate di rifiuti industriali. Dei 33 milioni di rifiuti urbani, un 20% sono imballaggi, e si riciclano. Il 30% sono rifiuti organici, quelli di cucina, per capire, che vanno nei cassonetti. Il resto sono metalli, plastiche, legno, tessile. Tra i rifiuti industriali, la parte del leone la fanno i materiali ferrosi, che da soli valgono 22 miliardi di euro: vanno dalle vecchie lavatrici alle navi in disarmo e alimentano l'attività di 28 acciaierie (16 delle quali in Lombardia, 3 al Sud). La chiamano la «filiera dell'acciaio». Le filiere in tutto sono sei. Oltre l'acciaio ci sono carta, alluminio, vetro, plastica, legno. Ogni filiera alimenta un settore industriale. Il riciclo del legno ha dato vita ad un intero comparto con realtà come il gruppo Saviola, che dai suoi pannelli ecologici realizzati utilizzando pasta di legno riciclato ottiene il 58% dei suoi 800 milioni di fatturato. Con la raccolta di giornali e imballaggi abbiamo invertito la nostra bilancia commerciale e dal 2004 abbiamo un saldo attivo di esportazione di carta riciclata. Il recupero della plastica vale 420 milioni e alimenta l'attività di un'ottantina di impianti, la metà al nord. Quello dell'alluminio vale 2 miliardi, e altri 2 miliardi e mezzo quello del vetro. Tutti questi numeri esprimono il valore commerciale del riciclo, ma non fanno emergere i risparmi energetici per il sistema produttivo. «Usare materia riciclata comporta un minor consumo energetico – spiega Longhi del Conai – è l'energia che costerebbe la produzione di materia prima vergine e che in questo modo viene risparmiata. La carta riciclata porta un risparmio energetico del 40% rispetto alla produzione della stessa quantità di materia prima vergine. Un risparmio che è del 50% per acciaio e vetro e del 95% per l'alluminio». In sintesi si può dire che i rifiuti industriali non sono, in generale, un problema. Non lo sarebbero neanche nel caso delle sostanze più tossiche e nocive, visto che esistono tecnologie e brevetti in grado di neutralizzarle e renderle inerti. Ci aveva puntato la Ste di Padova qualche anno fa, acquisendo un brevetto Usa. Voleva realizzare impianti che trasformavano queste sostanze tossiche in vetro, fibre per uso industriale e gas per combustione. Ha realizzato impianti in Giappone e anche in Usa, ma in Italia non è mai riuscita a portare a termine un'autorizzazione: quando era d'accordo la Regione non si trovava il Comune consenziente. Se c'erano Comuni pronti ad ospitare l`impianto, era la Regione a mettere il veto. E' la stessa ragione, insomma, per cui in Italia non si sono fatti che pochi inceneritori. E pensare che a Tokyo ce n'è uno in centro città sul cui tetto c'è una piscina con l'acqua riscaldata dall'impianto (che oggi genera emissioni pari a un cinqantesimo di quelle di una centrale termoelettrica) e viene regolarmente usata dalla cittadinanza. Poiché in Italia non si fanno inceneritori, allora abbiamo le discariche. «Da nessuna parte al mondo i rifiuti sono un problema – chiosa Ermanno Barni, responsabile Enea del comparto – all'estero il ciclo dei rifiuti è ovunque completo. Diciamo che fatto 100 il contenuto di un cassonetto, un 50% è materiale recuperabile e riusabile: vetro, legno, carta, etc. L'altro 50% va messo in un termovalorizzatore, ossia un inceneritori di nuova generazione, brucia, si trasforma in energia, calore. Il residuo è il 10% della quantità di partenza. E quel 10% può ancora essere dimezzato: se ne fanno degli `inerti' che funzionano bene per fare il fondo delle strade: all'estero si fa, in Italia non si può, bisogna usare rocce e sabbia di cava. Alla fine resta appena un 5% di materia completamente inerte e quella va portata nella discarica. In Danimcarca sono già a questa quota. In Italia portiamo in discarica il 54% dei rifiuti di partenza». I rifiuti possono dunque dare anche il loro contributo al fabbisogno energetico. Inceneritori ce ne sono pochi e quasi tutti al nord. A Brescia, Alessandria, sono quasi in città e non creano problemi. A Roma, a Malagrotta, dove la puzza della discarica arriva nelle case, non c'è. L'Anida, l'associazione degli impiantisti, il 14 luglio presenterà al governo un piano per realizzarne un'ottantina: 100 milioni di investimento in impianti di ultima generazione per trattare 165 milioni di tonnellate di rifiuti l'anno. I tempi di costruzione sono brevi. L'incognita resta la politica. In Usa nasce il gigante della mondezza ALBERTO FLORES D'ARCAIS New York Quello dei rifiuti è un business che ha sempre fatto gola. Diversi anni fa negli Stati Uniti, soprattutto in alcune grandi metropoli come New York, era appannaggio del crimine organizzato e in mano a sindacati senza scrupoli, poi nel corso degli ultimi due decenni, grazie alla sconfitta di Cosa Nostra, a leggi via via perfezionate, all'impegno ambientale e ad una nuova sensibilità dei cittadini è diventato un mercato di qualità, più serio e anche più ricco. E adesso è arrivato il momento delle grandi fusioni. È di pochi giorni fa la notizia che Allied Waste Industries Inc. e Republic Service Inc. vale a dire le società numero due e numero tre del mercato americano sono pronte ad unirsi per lanciare la sfida (con la benedizione di Goldman Sachs) al numero uno del settore Waste Management Inc. Si tratta di una fusione da 6,59 miliardi di dollari. Agli azionisti di Allied Waste andranno 0,45 azioni di Republic Service per ogni azione posseduta e il nuovo gruppo è in grado di raggiungere un giro d'affari consolidato (secondo le stime attuali) di 9,3 miliardi l'anno. Il 2007 (e il primo quadrimestre del 2008) per chi si occupa di smaltimento dei rifiuti in America è andato decisamente meglio delle previsioni, nonostante la crisi economica generale. Le tre principali compagnie Usa hanno utilizzato una strategia comune che ha compensato la perdita dei clienti meno abbienti una conseguenza della crisi dei mutui `subprime' che ha contratto il mercato immobiliare ridudendo la domanda di rimozione dei rifiuti con un aumento dei prezzi dovuto ai maggiori costi di carburante: Allied Waste li ha aumentati del 6,1 per cento riducendo al contempo le maestranze del 2 per cento, Republic Service prevedendo (nel febbraio scorso) un aumento del 4 per cento nel corso del 2008. Alla fine i conti sono tornati, con un segno positivo nella colonna profitti per tutte e due le società. Gli americani producono più `spazzatura' di ogni altra nazione al mondo, oltre due chili di Msw (municipal solid waste) per persona ogni giorno, il 55 per cento del quale è dovuto ai rifiuti casalinghi mentre il rimanente 45 per cento è prodotto da rifiuti industriali e commerciali di vario genere. Come in ogni paese, soprattutto i più avanzati, il riciclaggio dei rifiuti e la raccolta differenziata si stanno diffondendo velocemente in ogni angolo degli States, anche se non mancano le polemiche sui costi che ne derivano. Non essendoci una legge nazionale, la raccolta dei rifiuti varia da Stato a Stato. Così se in alcuni Stati il riciclaggio è obbligatorio (ad esempio in California, Massachusetts, Oregon, Michigan, Hawaii, Iowa) e se a New York una nuova legge stabilisce pesanti multe per chi butta via materiale riciclabile, in altri Stati tutto è lasciato al buonsenso delle singole amministrazioni locali, oppure non viene fatto proprio per motivi economici. Basti pensare che nel 2002 il riciclaggio dei rifiuti nella sola New York City ha avuto un costo di 57 milioni di dollari. Non essendoci una legge nazionale anche le discariche variano da Stato a Stato. Ad esempio Michigan, Wisconsin e Minnesota hanno il cosiddetto `landfill ban' (divieto di discarica) che proibisce l'uso nelle discariche di tutti i materiali riciclabili, costringendo di fatto alla raccolta differenziata, altri Stati danno incentivi, in altri si continua con i vecchi metodi di sempre, ma prima o poi anche questi saranno costretti ad adeguarsi. In compenso è stato istituito l'America Recycles Day (Ard), che viene festeggiato in tutti gli Usa il 15 novembre. Le grandi società che si occupano del business dei rifiuti si sono ovviamente adeguate al nuovo clima `ambientalista' e agli slogan per un'America `più verde e più pulita' entrati di diritto anche nel dibattito per la campagna presidenziale. Allied Waste è una compagnia leader nella raccolta dei rifiuti solidi, ha una clientela di oltre dieci milioni di clienti tra aziende e privati, diffuse nei 128 `mercati' più importanti in 37 Stati americani e a Portorico. La società si è posta come obiettivo quello di diventare in breve tempo la più `verde', nella contea di San Mateo in California ha iniziato un programma che prevede di convertire ogni anno 80mila galloni di petrolio diesel in carburante B20 biodiesel ed i suoi 225 camion già vanno a `carburante pulito'. John J. Zillmer, presidente e Chief Executive Officer della società lo rivendica pubblicamente: "Waste è sempre stata un attivo amministratore del nostro ambiente". E ha ricordato le nuove innovazioni per trasformare il gas delle discariche (ne ha 160 in tutti gli Stati Uniti) in energia. Stesso discorso che vale anche per Republic Service il cui slogan è "la nostra intenzione non è quella di essere il più grande provider per la raccolta di rifiuti; vogliamo solo essere i migliori". In effetti neanche la fusione tra le due società porterà alla nascita del primo gruppo americano considerato che l'attuale numero uno (Waste Mangement Inc.) ha una posizione per il momento irraggiungibile grazie ai 13,3 miliardi di dollari dello scorso anno. Prima della fusione Allied Waste e Republic Service devono inoltre trovare l'accordo su dove sarà il quartier generale della società e sul nome. La prima è basata infatti a Phoenix, in Arizona (la città dove vive il candidato repubblicano alla Casa Bianca John McCain), la seconda si trova invece a Fort Lauderdale in Florida. Probabilmente Allied Waste rinuncerà all'Arizona in cambio del nome, se come sembra probabile il nuovo gruppo continuerà a chiamarsi Allied Waste. Insieme le due società hanno oggi 39mila dipendenti (26mila Allied, 13mila Republic) e sono previsti tagli del personale e dei costi. Verranno anche ridisegnate in modo più efficiente le `mappe' della raccolta dei rifiuti che, insieme alla riduzione di personale, dovrebbe garantire alla nuova società un risparmio tra i 250 e i 350 milioni di dollari. Sull'operazione vigilano l'antitrust e il ministero della Giustizia. Le prime tre società americane rappresentano insieme il 60 per cento del mercato dei rifiuti e nel momento in cui con la fusione tra Allied Waste e Republic Service dovessero diventare solo due sono evidenti i pericoli di un duopolio difficilmente controllabile e con poche garanzie per le società più piccole, soprattutto quelle che operano in un ambito locale. Com'è avvenuto in altri campi, basti pensare alla telefonia, le grandi fusioni sembrano però inevitabili in un settore che non solo è in espansione ma che in futuro sarà legato in modo sempre più stretto ai più grandi business del momento, ad esempio quello dell'energia. Anche se sono passati solo dieci anni sembrano definitivamente tramontati i tempi in cui il business dei rifiuti arricchiva le famiglie di Cosa Nostra. Salvatore Avellino, boss della famiglia Lucchese controllava Long Island grazie alla `Private Sanitation Industry Association'; James Failla, boss della famiglia Gambino era il padrone dei rifiuti di New York City con la sua `Association of Trade Waste Removers': erano loro a decidere chi poteva entrare nel business, a controllare e fissare i prezzi, a selezionare i clienti. In quegli anni era inevitabile che anche le società più potenti venissero coinvolte, più o meno consapevolmente, negli affari del crimine organizzato. Quando divenne sindaco Rudolph Giuliani anche il business dei rifiuti venne preso (con successo) di mira; se oggi Wall Street guarda con attenzione alle nuove fusioni il merito è anche suo. Commenti
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