Democrazia e diritti dell'ambiente
Scritto da Claudio   
giovedì 10 maggio 2007
da: arpaweb/ArpaRivista - Home

Editoriale      La democrazia e i diritti dell'ambiente

...sembra quasi che le grandi
multinazionali si sentano meno in colpa a inquinare aree
a basso reddito, replicando localmente la delocalizzazione
verso i paesi del terzo mondo delle produzioni più inquinanti....

Negli Usa sono ormai numerosissime le cause intentate
da gruppi ambientalisti e comunità locali per la cosiddetta
environmental justice, in quanto si è rilevato come i siti più
contaminati siano prevalentemente localizzati in aree ad
alta densità di neri e ispanici; sembra quasi che le grandi
multinazionali si sentano meno in colpa a inquinare aree
a basso reddito, replicando localmente la delocalizzazione
verso i paesi del terzo mondo delle produzioni più inquinanti.
Il rapporto tra democrazia e problemi ambientali è tuttavia
un concetto più ampio della correlazione inquinamento-quartieri
abitativi; democrazia ambientale significa informare i
cittadini dei problemi e delle conseguenze, immediate
e latenti, dei fenomeni inquinanti, significa ascoltare i
bisogni e le richieste dei cittadini senza pensare che
questi siano sprovveduti o incapaci di intendere e di volere.
Molto spesso i cittadini hanno una visione strategica molto
più lungimirante dei propri governanti, che proprio grazie
alla democrazia, incarnano il più delle volte la mediocrità
totale. Tiziano Terzani in Un indovino mi disse, uno dei
suoi libri più belli, illustra in modo molto efficace questo
concetto giungendo a dire come oggi la persona eletta,
"proprio perché deve piacere a tanti, ha necessariamente
da essere media, mediocre e banale come sono sempre
tutte le maggioranze. Se mai ci fosse una persona
eccezionale, qualcuno con delle idee fuori dal comune,
con un qualche progetto che non fosse quello di imbonire
tutti promettendo felicità, quel qualcuno non verrebbe mai
eletto; il voto dei più non lo avrebbe mai".
E per aggiungere una citazione Massimo Fini integra questo
concetto giungendo a dire: "l'unica qualità di un politico è
non avere qualità".
E quest'insufficienza della politica e di un sistema visto
come ultimo punto di arrivo, che non può essere messo
in discussione, fatto mai accaduto nella storia dell'umanità,
e che lascia interdetto, quando sostenuto da chi dovrebbe
rappresentare la classe intellettuale e illuminata, ci ha
condotto a una situazione difficile da risolvere. Una situazione
di paralisi, che impone una riflessione sulla reale efficacia
del processo democratico nell'af-frontare le emergenze ambientali.
Abituati ad approcci incrementali, che devono tenere in
considerazione tutti gli stakeholder, a processi di Agenda
21 che attivano infiniti forum dove ogni soggetto interviene
portando le sue istanze e le sue proposte, i tempi decisionali
si allungano, le decisioni riguardano interventi marginali e
l'emergenza velocemente si aggrava. Quali sono le alternative?
Non è possibile seguire il modello cinese, dove, se è vero che
il disastro ambientale e l'inquinamento atmosferico delle grandi
aree urbane ha ormai raggiunto livelli insostenibili, esiste
tuttavia una differenza sostanziale nelle possibili risposte.
A Pechino, ad esempio, è stata vietata la circolazione dei
motorini, altamente inquinanti; soluzione draconiana, insufficiente
a compensare l'incredibile crescita del numero di autoveicoli
in circolazione (passati da sei a venti milioni negli ultimi sei anni),
ma che ci fa presagire come le autorità cinesi, prima o poi,
affronteranno il problema ambientale, e cioè con decreti
vincolanti, in grado di eliminare le cause in tempi rapidi.
 Da noi, per fortuna nostra e per sfortuna dell'ambiente,
la situazione è molto diversa; ogni piccolo cambiamento
è soggetto a infinite discussioni, veti più o meno incrociati,
 infinite analisi tese a confermare tutto e il contrario di
 tutto, con il risultato che, spesso, l'esito finale determina,
nella migliore delle ipotesi, un cambiamento incrementale
che incide in maniera poco significativa sul problema.
La democrazia, con i suoi riti, sembra inadatta a fronteggiare
l'emergenza ambientale; è ormai più un enorme e interminabile
show, dove avvocati in cerca di visibilità denunciano l'industria
automobilistica per aver asfissiato 37 milioni di abitanti della
California, ben sapendo che non arriveranno a nessun risultato e,
se ci arrivassero, sarebbe un risultato virtuale (le grandi sanzioni
inflitte all'industria del tabacco non sono mai state pagate), dove
si continua a credere che l'innovazione tecnologica possa
compensare i danni irreversibili all'ecosistema, per poi trovarsi
di fronte al disastro dell'ultimo treno superveloce, che riduce sì
l'impatto ambientale durante la sua corsa ma, se analizzato in
un'ottica di ciclo di vita più articolata, rappresenta l'ennesimo
esempio di una modernità che corre, sempre più veloce, e
spesso senza senso, verso una meta che non può che essere
quella del treno tedesco: lo schianto.
Forse l'uso della carota deve lasciare maggior posto al bastone, o forse, meglio ancora, sarebbe sufficiente
inserire il concetto ambientale nel manovrare la leva
fiscale in maniera più convinta e decisa; non si capisce
perché non ci si sposti gradualmente verso una maggiore
tassazione indiretta sui beni a maggiore impatto ambientale
riducendo nel contempo la tassazione diretta, a livelli ormai
insostenibili nel nostro paese; purtroppo il nostro è un paese
in cui una moderna cultura ambientale fatica a farsi spazio,
stretta tra un liberismo che vede nel mercato la soluzione e
una logica più statalista che non ha ancora capito che
l'ambiente potrebbe essere una straordinaria leva con
cui creare lavoro e ricchezza, senza dover far piangere
nessuno.
Secoli di lotte per i diritti dei lavoratori, delle donne, delle
 minoranze, degli animali ci hanno fatto perdere di vista la
casa comune in cui tutti vivono; è tempo di lottare per la
liberazione dell'ambiente che deve essere riconsegnato
alle sue logiche, ai suoi tempi e ai suoi ritmi.
Senza un dittatore alla Pol Pot sembra un'impresa impossibile;
la democrazia, così com'è strutturata oggi, non appare in
grado di governare efficacemente e in tempi utili le emergenze
ambientali planetarie. Pensare a organismi sovranazionali
è inutile: ci troveremmo di fronte un nuovo baraccone
autoreferenziale. L'unica soluzione praticabile anche se
oggi considerata blasfema è il ritorno graduale, limitato
e ragionato, a forme di autoproduzione e consumo, insieme
a nuove forme di democrazia diretta in ambiti più limitati e
controllabili. Per evitare Pol Pot.

Francesco Bertolini

Università Bocconi, Milano

http://www.arpa.emr.it/documenti/arparivista/pdf2006n6/BertoliniEditorialeAR6_06.pdf

http://www.arpa.emr.it/documenti/arparivista/pdf2006n6/ComitatoProgettoAR6_06.pdf

http://www.arpa.emr.it/documenti/arparivista/pdf2006n6/FranciaAR6_06.pdf

http://www.arpa.emr.it/documenti/arparivista/pdf2006n6/PoluzziAR6_06.pdf 

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