Smaltimento degli “scarti” e le conseguenze sulla salute
alla Due giorni di Mondeggi
Di Marco Paganini /
28 Giugno 2022 (intervento alla Due giorni
di Mondeggi, 25-26 giugno 2022)
Prima una piccola premessa che nasce dall’impostazione della proposta di Piano
regionale che i Comitati della Piana hanno presentato alla Regione Toscana e
che fino ad oggi è stata perfettamente ignorata. Chiaramente si intende la
salute non come mera assenza di malattia, ma come benessere derivato dalla
armonica integrazione fra gli individui ed i loro ambiente di vita (il lavoro
fa parte della vita).
Il primo problema degli scarti è che esistono gli scarti; che sono
espressione di un conflitto nell’uso delle risorse che potenzialmente può
compromettere l’equilibrio fra individui ed ambiente. La stessa idea (che ha
alimentato la retorica della modernità) di una natura “maligna ed avara” è
prologo di mancanza/perdita della salute.....
Smaltimento degli “scarti” e le conseguenze sulla salute
alla Due giorni di Mondeggi
Di Marco Paganini /
28 Giugno 2022
Prima una piccola premessa che nasce dall’impostazione della proposta di Piano
regionale che i Comitati della Piana hanno presentato alla Regione Toscana e
che fino ad oggi è stata perfettamente ignorata. Chiaramente si intende la
salute non come mera assenza di malattia, ma come benessere derivato dalla
armonica integrazione fra gli individui ed i loro ambiente di vita (il lavoro
fa parte della vita).
Il primo problema degli scarti è che esistono gli scarti; che sono
espressione di un conflitto nell’uso delle risorse che potenzialmente può
compromettere l’equilibrio fra individui ed ambiente. La stessa idea (che ha
alimentato la retorica della modernità) di una natura “maligna ed avara” è
prologo di mancanza/perdita della salute.
Fanno ormai parte del patrimonio comune le nozioni di biodiversità
come bene da tutelare e di ciclicità dei processi come
paradigma preminente della biosfera. Del resto, essendo oggi palese che il
pianeta è un sistema chiuso, l’energia che gli proviene dall’esterno è quella
fornita dall’irraggiamento solare; stante che la terra è tonda, gira su se
stessa e gira intorno al sole, l’irraggiamento delle diverse aree della
superficie è necessariamente ciclico.
Ci siamo evoluti per vivere in un ambiente energetico ciclico.
La pretesa di realizzare un ambiente energetico lineare in crescita
costante e infinita a servizio del profitto è un delirio (una
percezione errata della realtà che non recede di fronte all’evidenza dei
fatti). Gli scarti o rifiuti, rappresentano esattamente la differenza
fra la realtà oggettiva e l’immaginario capitalista.
Nella gestione dei processi produttivi gli scarti vengono costantemente
analizzati per trovare un modo economicamente sostenibile di farli sparire (la
ricerca perpetua del tappeto sotto cui nasconderli alla vista), ma ogni
processo messo in moto con questo scopo finisce per aprire nuove criticità
(vedi come esempio recente l’espansione in edilizia dei sistemi di
coibentazione ed il “rinnovo forzato” delle apparecchiature domestiche). Barry
Commoner (tra i primi a immaginare un modello di economia circolare e
industria) già negli anni ’80 del secolo sorso, aveva evidenziato come gli
unici veri successi in materia erano costituiti dalla prevenzione primaria,
cioè la soppressione dei processi che producevano rifiuto. Il
primo passo quindi per la tutela della salute ambientale (e quindi anche di
quella umana) e decidere cosa si produce e perché.
Da questa premessa è facile rendersi conto di come certe linee produttive e
soprattutto la loro linearità tendono inevitabilmente a diventare un pericolo
per la salute biologica. I sistemi produttivi dei paesi economicamente
avanzati (primo mondo) sono sempre più articolati a ciclo continuo sulle 24
ore, con una velocità che tende ad aumentare esponenzialmente per una
produzione di merci che progredisce in modo geometrico.
Tuttavia noi non siamo fatti, non ci siamo evoluti, per lavorare sulle 24
ore; le nostre capacità mentali e fisiche non evolvono esponenzialmente, ma in
modo discontinuo e saturabile; le nostre esigenze di consumo sono
tendenzialmente logaritmiche ed esauribili. Ci siamo evoluti in una logica di
“minimo irriducibile”, non di “accumulazione infinita”, siamo biologicamente
incompatibili con l’organizzazione socioeconomica che abbiamo messo in piedi.
I nostri “scarti” sono di due tipi, quelli che intasano i sistemi
biologici e quelli che li avvelenano. Produciamo ed immettiamo
costantemente nell’ambiente migliaia di nuove molecole all’anno, di cui
conosciamo unicamente la funzione per la quale le abbiamo create e non abbiamo
la più pallida idea dell’infinito tipo di reazioni chimiche e fisiche che
possono avere interagendo con miliardi di altre nell’ambiente biologico. E’ la
metafora dell’apprendista stregone, che pensa di “dominare” la natura.
Naturalmente non siamo tutti così, e non dappertutto, esistono ancora e per
fortuna molti esempi di integrazione fra comunità umane e l’ambiente che le
circonda, grazie a saperi sedimentati nei secoli che hanno consentito di
interagire con la complessità degli ecosistemi.
Quello che è più deleterio per la salute sia dell’ambiente che delle persone
sono i processi di semplificazione esasperata, di cui il più paradigmatico è la
morte, il contrario della salute. Dopo ciò guardiamo con preoccupazione la strategia
della Regione di delegare alle manifestazioni di interesse delle aziende del
settore, l’impianto del Piano rifiuti regionale, dove per i singoli
problemi ci sono soggetti interessati ad occuparsi di un rifiuto specifico o di
un sistema di smaltimento ad hoc, con il rischio concreto di perdere la visione
sulla dimensione globale del problema.
Il primo punto è la mancata distinzione fra rifiuto urbano e rifiuto
speciale da parte dei titolari dei singoli processi, stante che il
rapporto fra speciali ed urbani e di 5:1 si vede come il core business è lo
speciale. Naturalmente questa impostazione necessita di una raccolta
differenziata, ma non necessariamente spinta, perché ciascun sistema
industriale è concepito per avere comunque delle tolleranze che si
trasformeranno in nuovi scarti.
Assistiamo quindi ad una riedizione dei sistemi di trattamento termico,
finalizzati a “recupero energetico”, con sottoprodotti, sulla carta meno
impattanti.
Dico sulla carta perché l’esperienza purtroppo ci insegna che rompere
le molecole per trasformarle sia pure in CO2 ed H2O non elimina né i metalli
pesanti né alcuni composti che si formano inevitabilmente nelle fasi “fredde”
del processo a valle della ossidazione e la cui quantità in emissione,
anche se a concentrazioni basse, dipende dalla quantità totale processata.
Stante comunque che la emissione di CO2 e H2O in queste “nuove combustioni”
aumenta in modo tale da richiederne una cattura (almeno della prima, la seconda
si recupera per condensazione), il sistema implica un processo ulteriore, che a
sua volta presenterà sicuramente un nuovo problema. Inoltre qualsiasi
quantitativo aggiuntivo di inquinanti in atmosfera deve già da ora fare i conti
con il cambiamento climatico in atto, che peggiora gli affetti
dell’inquinamento sia con il peggioramento dei sistemi di lavaggio e diluizione
dell’atmosfera (modificazione dei venti e riduzione delle precipitazioni) sia
con l’incremento dei processi chimici in atmosfera (aumento dell’ozono nelle
regioni basse e aumento dei composti sulfidrilici nel particolato fine (Fiore
AM, Naik V, Leibensperger EM.. 1995 ). La stima di aumento di
concentrazione del particolato PM2,5 pesato per la popolazione dal 1860 al 2000
è del 5% e dell’ozono basso del 2%, e la situazione negli ultimi 20 anni è
ulteriormente peggiorata (Fang
et al. 2013). Le morti stimate attribuibili a al particolato fine e
all’ozono basso sono rispettivamente 110000 e 24100 (Silva et al.).
Il materiale di risulta solido, un clinker vetrificato, sarebbe utilizzabile
per riempimenti alla stregua delle macerie, ma l’esperienza passata sui
“riempimenti con inerti” non sembra promettente, spaziando dai rifiuti
radioattivi (Germania) al keu (recentemente i Toscana).
Mettere in piedi ed espandere oltre misura dei sistemi industriali di
trattamento mette seriamente in discussione due principi essenziali per
la salute ambientale: il primo è l’autosufficienza dei
territori nella gestione dei rifiuti urbani, il secondo è
la responsabilità estesa del produttore che viene deresponsabilizzato
trasformando i suoi scarti in materie prime seconde, di cui si occupano altri,
innescando una nuova catena del valore e della responsabilità, che lo assolve
dalla necessità di produrre oggetti progettati per un un uso più ampio e
duraturo (il primo passo della strategia rifiuti zero).
In Italia, solo i SIN attualmente censiti (60 pari a 1250 kmq con una media
di bonifica su 23 siti del 12% con un range da 1-88%, sugli altri 37 nessun
intervento è stato fatto) entrati nello studio SENTIERI interessano oltre 5,5
milioni di persone esposte alle conseguenze di operazioni di “smaltimento”
degli scarti, senza contare gli eventi “occasionali” vedi recente incendio a
Malagrotta (Roma)-
Per quanto attiene al trattamento dell’organico, prevale la
tendenza all’uso del compostaggio anaerobio per la produzione di biometano;
tuttavia anche questa linea presenta alcuni inconvenienti il metano prodotto
deve essere spesso raffinato (eliminando la CO2 co-prodotta) i fanghi di
risulta non possono essere impiegati in agricoltura, ma necessitano di una
ulteriore fase di trattamento aerobico, inoltre se la raccolta differenziata
non è particolarmente spinta o si usa il risultato del TMB, il compost che ne
deriva non è utilizzabile in campo agricolo, ma solo come riempitivo di aree da
bonificare (coperture di discariche o di cave) o di verde pubblico (giardini o
interni di condominio).
Sono elementi critici, in tutti i tipo di trattamento, alcuni metalli
segnatamente mercurio, cromo e cadmio, che hanno tendenza a volatilizzare, in
funzione della temperatura, tanto più è alta tanto più fine sarà il particolato
che si forma e avremo concentrazioni diverse nei vari substrati.
Tutti i nuovi sistemi di trattamento termico con recupero di energia vengono
attualmente progettati con annessi impianti di recupero della CO2 ma questi
processi presentano alcuni problemi non completamente risolti; in primo luogo
sono energivori e riducono l’efficienza complessiva degli impianti di
cogenerazione di percentuali significative tali da compromettere parzialmente
la redditività economica e pertanto per ammissione stessa dei progettisti
necessitano di essere significativamente incentivati. L’ altro elemento critico
è costituito dalla necessità di stivare la CO2 catturata; l’uso più economico
che viene proposto è quello di re-iniettarli nei siti di estrazione di petrolio
e metano per aumentare l’efficienza di estrazione dei combustibili fossili. Al
di là dei rischi potenziali connessi all’efficienza del confinamento (abbiamo
già esempi di fuoriuscite mortali in aree per fortuna limitate per cause
naturali da decarbonizzazione del magma vulcanico), la creazione di un sistema
impiantistico diffuso di questo tipo ha come effetto quello di drenare
importanti risorse pubbliche sottratte ad altri scopi e di prolungare l’uso dei
fossili sine die.
Come si vede la incapacità del sistema capitalista di integrarsi con
i sistemi biologici è strutturale e causa primaria del debito di
salute della biosfera.
Marco Paganini, intervento alla Due giorni
di Mondeggi, 25-26 giugno 2022
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