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“Occupandoci
di rifiuti tecnologici ci siamo resi conto che stranamente non arrivavano
apparecchiature elettromedicali”. Claudio Tedeschi è l’amministratore
delegato di Dismeco srl, azienda specializzata nello smaltimento e
trattamento dei Raee, i Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed
Elettroniche. A inizio anno, quando si cominciava a parlare in maniera estesa
di Covid-19, promuove un progetto per il recupero delle apparecchiature
elettromedicali e per un successivo riutilizzo,
da queste, dei pezzi di ricambio. Un esempio di economia circolare al servizio
della collettività: in questo modo gli ospedali avrebbero potuto sopperire alla
cronica carenza di strumenti come ventilatori e respiratori polmonari –
essenziali, come abbiamo imparato con l’arrivo della pandemia, soprattutto nei
reparti di terapia intensiva....
“Occupandoci
di rifiuti tecnologici ci siamo resi conto che stranamente non arrivavano
apparecchiature elettromedicali”. Claudio Tedeschi è l’amministratore
delegato di Dismeco srl, azienda specializzata nello smaltimento e
trattamento dei Raee, i Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed
Elettroniche. A inizio anno, quando si cominciava a parlare in maniera estesa
di Covid-19, promuove un progetto per il recupero delle apparecchiature
elettromedicali e per un successivo riutilizzo,
da queste, dei pezzi di ricambio. Un esempio di economia circolare al servizio
della collettività: in questo modo gli ospedali avrebbero potuto sopperire alla
cronica carenza di strumenti come ventilatori e respiratori polmonari –
essenziali, come abbiamo imparato con l’arrivo della pandemia, soprattutto nei
reparti di terapia intensiva.
Eppure,
nonostante la collaborazione con l’università di Bologna e l’adesione
della Croce Rossa, il progetto non è stato recepito dalle istituzioni.
“Paradossalmente abbiamo gli strumenti per risolvere un problema – commenta
amareggiato il manager di Dismeco – e abbiamo un insieme di soggetti che a
monte non vogliono risolvere il problema”.
Un progetto da premio
Il punto di
partenza del progetto è l’individuazione
di un problema. “Essendo abituati a lavorare con progetti innovativi,
abbiamo deciso di dedicare le nostre attenzioni a questo tema – dice Tedeschi –
Ai tempi della prima ondata di Covid ci sono stati ospedali lombardi, come per
esempio quello di Brescia, che avevano necessità di ventilatori e non
trovavano i necessari ricambi”. Mentre Dismeco comincia a premere sulle
unità sanitarie locali, l’azienda, anche in relazione alla proposta di recupero
delle apparecchiature elettromedicali , viene indicata come miglior progetto
industriale in campo ambientale dall’International Waste Group e caso
di studio per il 2020.
Al progetto
aveva dato voce anche Confindustria, sul portale dedicato all’economia
circolare. “L’azienda bolognese Dismeco srl, insieme a Zero Waste Italy,
sta sviluppando un progetto sperimentale denominato MDRe – Medical Device
Regeneration, volto al recupero per il riutilizzo, di ricambi da
apparecchiature elettromedicali inutilizzate o dismesse, utili per sopperire
alle carenze durante le emergenze sanitarie, come appunto quella attuale legata
all’epidemia da Covid – si
legge -. L’azienda Dismeco, premiata da Confindustria nel 2019
nell’ambito del concorso come Best Performer dell’Economia Circolare,
gestisce un innovativo impianto industriale di recupero Raee (rifiuti elettrici
ed elettronici) a Marzabotto (BO) con un elevato standard di recupero di
componenti e materiali. Zero waste Italy, presieduta da Rossano Ercolini,
insignito del Goldman Environmental Prize nel 2013, per la sua attività
di informazione sul tema zero rifiuti, è un’associazione no profit che promuove
le buone pratiche di riduzione, riparazione e recupero di prodotti e
materiali”.
Dove finiscono gli apparecchi dismessi?
Insomma: ci
sono tutte le potenzialità per un progetto di eccellenza in grado di rispondere
a una necessità effettiva e immediata. Ma qualcosa comincia ad andare storto.
Dismeco avvia un’indagine per capire innanzitutto perché al sito bolognese che
raccoglie i Raee non arrivi molto dagli ospedali. “Abbiamo scoperto una zona
grigia, molto grigia, che impedisce che gli elettromedicali vadano a finire
nei posti giusti. La stragrande maggioranza di queste apparecchiature finisce
nei rottamai”. Dagli ospedali alla demolizione, dunque, dal pubblico al
privato senza filiere che ne consentano riciclo, recupero e riuso.
Intendiamoci: spedire i Raee ai rottamai è una facoltà degli ospedali che è
prevista per legge. Come per tutti i rifiuti, ai Raee viene abbinato un codice
CER che li definisce in base al loro processo produttivo e alla loro
pericolosità, stabilendone le modalità di smaltimento. La pratica più
utilizzata nei rottamai è però quella della triturazione, che consente
di ricavare metalli. Col progetto MDRe, invece, si intende dare priorità ai
pezzi di ricambio
All’economia
circolare, in questo caso, non è stata dunque la possibilità di salvare vite
umane e dare un fondamentale contributo all’assistenza territoriale di base
in fortissima difficoltà. Anche perché Dismeco avrebbe ritirato gratuitamente
il materiale sanitario. ”Recuperando materia prima riusciamo infatti a
individuare un valore per quella merce, cosa che i rottamai non fanno. Abbiamo
poi scoperto – aggiunge l’ad di Dismeco – che ci sono ospedali con magazzini
pieni di elettromedicali, magari con pochissimi anni di vita e però
inutilizzati perché manca un pezzo di ricambio semplicissimo come può essere
una manopola o una scheda video, comunque ricambi funzionali e nemmeno sanitari
che costano pochissimo. Così finisce che queste apparecchiature si deperiscono,
con un danno non solo economico per le aziende ospedaliere ma soprattutto
sanitario per l’intera popolazione”.
Fuga dai ricambi
C’è inoltre
un ulteriore aspetto di cui tenere conto, noto
a chi si occupa di economia
circolare e che costituisce uno
dei pilastri dell’economia lineare. “Si fa di tutto per fare in modo che
non si producano ricambi – dice ancora Tedeschi – Questo perché l’interesse è
quello di vendere macchine nuove. E si capisce il motivo se si pensa che
una singola apparecchiatura costa almeno 20mila euro. Quindi si aggrava il
debito delle unità sanitarie locali. Ecco perché noi abbiamo rivolto un invito
a tutti gli ospedali dell’Emilia Romagna, cioè partendo dalla zona dove
operiamo: se avete i magazzini pieni, se avete elettromedicali dismessi o che
non utilizzate, dateli a noi che siamo autorizzati al trattamento dei rifiuti
tecnologici per cominciare un percorso, insieme ai produttori, e individuare
quali ricambi servono”. Un appello al quale sarebbe seguita un’altra fase,
rimasta finora in stand-by.
“La nostra
intenzione – spiega il manager – era quella di mettere su un sito internet
dove inserire la disponibilità dei ricambi e darli gratuitamente alle unità
sanitarie locali, affinché da Gorizia a Siracusa chi avesse bisogno di un
semplice pezzo potesse provvedere immediatamente. Tutta la filiera ne avrebbe
tratto beneficio: la sanità, pubblica e privata, avrebbe risparmiato soldi; i
produttori avrebbero attivato un percorso etico”. La scelta dei verbi al
condizionale lascia già intravedere l’esito del progetto. “La pubblica
amministrazione si è fatta completamente sorda – ammette sconsolato Tedeschi –
Ricordo che abbiamo presentato il progetto sei mesi fa, abbiamo scritto
a chiunque, fino al presidente della Regione Stefano Bonaccini. Dagli uffici
acquisti degli ospedali ai direttori generali, tutti si dicevano interessati. Poi
però c’è stato il silenzio”.
C’è ancora tempo per rimediare, specie in previsione di una possibile terza
ondata del coronavirus. Allora, per parafrasare una nota canzone di John
Lennon e di Yoko Ono, date
una chance all’economia
circolare.
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