https://www.perunaltracitta.org/2020/04/13/chi-e-cosa-aiuta-il-coronavirus/
di Gian
Luca Garetti · 13 Aprile 2020
Questa
pandemia è come un terribile romanzo giallo ambientato nel Capitalocene, in cui
il colpevole è il coronavirus sars-cov-2 e l’arma del delitto
sono le mutazioni maligne delle famose proteine spike, che permettono al virus
di agganciarsi alle cellule umane, di penetrarvi e poi di replicarsi e
diffondersi. Le vittime sono i più anziani, quelli più in basso da un
punto di vista socioeconomico, gli operatori sanitari. C’è poi una cupola di personaggi
secondari, i cosiddetti cofattori, che in vario modo contribuiscono al
delitto, cioè al diffondersi ed all’esacerbarsi della malattia. In questo
articolo ci occuperemo in particolare delle interconnessioni, dei collegamenti
trasversali che ci sono fra l’inquinamento atmosferico, la fame di proteine
animali e questa pandemia.
La Città invisibile
Chi e cosa aiuta il
coronavirus a diffondersi?
Chi e cosa aiuta il
coronavirus a diffondersi?
di Gian
Luca Garetti · 13 Aprile 2020
Questa
pandemia è come un terribile romanzo giallo ambientato nel Capitalocene, in cui
il colpevole è il coronavirus sars-cov-2 e l’arma del delitto
sono le mutazioni maligne delle famose proteine spike, che permettono al virus
di agganciarsi alle cellule umane, di penetrarvi e poi di replicarsi e
diffondersi. Le vittime sono i più anziani, quelli più in basso da un
punto di vista socioeconomico, gli operatori sanitari. C’è poi una cupola di personaggi
secondari, i cosiddetti cofattori, che in vario modo contribuiscono al
delitto, cioè al diffondersi ed all’esacerbarsi della malattia. In questo
articolo ci occuperemo in particolare delle interconnessioni, dei collegamenti
trasversali che ci sono fra l’inquinamento atmosferico, la fame di proteine
animali e questa pandemia.
Il cofattore
inquinamento atmosferico:
Precedentemente
abbiamo commentato alcuni studi scientifici che parlano dell’inquinamento
atmosferico come cofattore di Covid-19, sia a livello di diffusione che di aggravamento della pandemia. Qui ne
esamineremo altri due, pubblicati di recente nella letteratura scientifica, che
mettono in evidenza come il Pm2,5 renda più vulnerabili e esacerbi gli effetti
di Covid-19.
Il primo studio, condotto dall’italiana
Francesca Dominici, insieme ad altri ricercatori della Harvard TH Chan School
of Public Health di Boston, ha collegato l’esposizione a lungo termine
all’inquinamento atmosferico, cioè le zone in cui c’è stato negli anni un
elevato livello di particolato, con la mortalità per Covid-19. Sono state prese
in esame 3000 contee statunitensi, fino al 4 aprile, coprendo il 98% della
popolazione.
E’ risultato
che all’aumento di solo 1mg / m3 di PM2,5 è associato un aumento del 15% nel
tasso di mortalità di Covid-19 (una evidenza statisticamente
significativa).
Secondo
questo studio l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico rende
molto più vulnerabili al verificarsi degli esiti più gravi del Covid-19.
Rafforzando quanto era stato affermato in uno studio riferito al coronavirus
del 2003, cioè che i malati di SARS che abitavano nelle regioni
con qualità dell’aria peggiore presentavano un rischio di morte dell’84% più
alto.
L’elevato
livello di inquinamento cofattore dell’alto livello di mortalità nell’Italia
del nord:
‘L’inquinamento
atmosferico può essere considerato un co-fattore di mortalità SARS-CoV-2 nel
Nord Italia?’ È il
titolo del secondo studio condotto da un gruppo di ricercatori
italiani dell’Università di Siena e della Aarhus University (Danimarca) che
così termina: ‘Concludiamo che l’elevato livello di inquinamento nell’Italia
settentrionale dovrebbe essere considerato un ulteriore cofattore dell’alto
livello di mortalità registrato in quella zona’. L’inquinamento
atmosferico, comprometterebbe la prima linea di difesa dell’organismo
costituita dalle cellule epiteliali che rivestono le mucose e dal muco secreto
dalle cellule caliciformi (goblet cells) delle vie aeree superiori. Così che
all’arrivo delle particelle virali SARS-CoV-2 sulle superfici delle mucose
respiratorie, la proteina spike avrebbe facilitato l’attracco, la fusione,
l’ingresso e poi la replicazione della particella virale all’interno delle
cellula. Alla morte cellulare, seguirebbe la liberazione di milioni di nuove
particelle virali e la diffusione del virus nell’organismo.
Altri
cofattori favorenti il surplus di letalità nel Nord Italia:
a) la privatizzazione
ed il progressivo indebolimento del Sistema sanitario nazionale, minato
dall’aziendalizzazione e da decenni di politiche liberiste; b) la mancanza di
una strategia seria di protezione degli operatori sanitari (sono già morti più
di 100 medici e non è finita) e degli ospedali; c) la mancanza di corretta
informazione (mascherine sì, mascherino no) e di ricerca attiva dei casi
(tamponi sì, tamponi no); d) il tardivo lockdown del governo e) il diverso modo
di riportare il numero di decessi e infezioni tra i vari paesi; f) la vecchiaia
della popolazione italiana.
Un effetto
positivo: l’aria è più pulita perché calano gli ossidi di azoto:
Le prime
osservazioni dell’Agenzia europea per l’ambiente (AEA) e delle varie ARPA
(Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) concordano sul fatto che
l’impatto della assenza di auto, sulla qualità dell’aria, è stato
caratterizzato da un calo delle concentrazioni di biossido di azoto (NO2),
ascrivibile al traffico veicolare, in particolare ai motori diesel.
Picchi di
particolato transfrontaliero e il particolato secondario:
L’effetto
del particolato (PM) è più difficile da decifrare data la complessità della sua
origine. In questo periodo si sono avute in tutta Italia impennate di
particolato, riconducibili alla avvezione di polvere del deserto del Caucaso, o
del Nord Africa. Mentre in Lombardia, nella Pianura padana in genere, è
stata predominante la componente secondaria del particolato, costituita da
nitrato e solfato di ammonio, proveniente dallo spandimento sul terreno dei
liquami zootecnici degli allevamenti di bovini e di maiali. In Lombardia ce ne
sono più di 4 milioni, di maiali. In Cina, che è il più grande produttore di
maiali del pianeta, se ne stimano circa 440 milioni.
Suinifici
cinesi devastanti cofattori di Covid-19:
La
provincia cinese dell’Hubei è una vera e propria fabbrica di epidemie. In
questo marzo 2020, vi si è verificato anche il primo focolaio dell’anno di
peste suina africana (PSA), denominata in inglese (ASF) african swine
fever. E’ una malattia virale, letale, non trasmissibile agli esseri umani, che
colpisce suini e cinghiali, che si possono contagiare per contatto o attraverso
l’ingestione di carni infette. Non esistendo vaccini né cure, per frenare il
contagio non resta che uccidere tutti i casi conclamati e sospetti e
sorvegliare le frontiere. La malattia ha gravi conseguenze socio-economiche,
che possono essere state decisive nello spianare la strada a Covid-19, come si
spiega qui sotto.
“Big
Farms Make Big Flu” (le
mega-fattorie producono macro-influenze):
E’ il titolo
di un noto libro del biologo Robert G. Wallace, pubblicato nel 2016. Un
libro importante perché traccia la connessione tra i modelli della produzione
capitalista di bestiame e l’eziologia di quelle epidemie zoonotiche, come SARS
e MERS, esplose negli ultimi decenni, che sono state trasmesse dagli animali
agli esseri umani, cioè che hanno fatto il ‘salto di specie’, come è successo
anche per il Covid-19.
Nel Gabon si
proteggono i gorilla dall’uomo:
Dopo che nel
1995 l’epidemia di Ebola decimò la popolazione dei gorilla di oltre il 90%, il
governo del Gabon ha deciso di proteggere i gorilla dal contagio dell’uomo,
vietando l’ingresso dei turisti nei parchi e mettendo in quarantena il
personale che vi lavora. Ha inoltre deciso di vietare la vendita e il consumo
di pipistrelli e pangolini. Lì vivono molti cinesi. In Gabon al momento ci sono
solo 21 casi di Covid-19.
Metà dei
maiali allevati nel mondo sono cinesi:
La Cina
concentra nel suo territorio il maggior numero di “landless systems”
(sistemi senza terra), fabbriche di morte, macro sfruttamento di allevamenti
in cui si stipano migliaia di animali, che possono diventare laboratori
viventi di mutazioni virali poi suscettibili di provocare nuove malattie e
epidemie. L’allevamento industriale erodendo sempre più l’habitat delle specie
selvatiche, oltre a metterne a rischio la biodiversità, ha favorito le
possibilità di contatto tra la fauna selvatica (pipistrelli, cinghiali etc) e
il bestiame, maiali in particolare. Ricordiamo per esempio, la Sindrome della
Diarrea Acuta Suina (SADS-CoV), del 2016, sempre in Cina, che fu provocata da
un nuovo coronavirus, trasmesso dai pipistrelli.
Gli animali
allevati nel mondo sono più di tre volte degli esseri umani:
L’allevamento
degli animali ha proporzioni gigantesche, stimate in 3,5 volatili e 0,5
mammiferi da carne rossa (come vitelli e maiali) allevati ogni anno per
individuo. Per il day after: bisogna modificare radicalmente il modello
produttivo di agricoltura e allevamenti, ed indirizzarlo verso l’agroecologia,
verso una svolta zoe-egalitaria, che ci impegni a relazioni più etiche
ed eque con gli animali (ne parla Rosi Braidotti, Il postumano,
DeriveApprodi, Roma 2014).
Per
proteggere l’ecosistema mondo è indispensabile indirizzare la nostra dieta
verso le proteine vegetali, la cui produzione non uccide nessuno, non fa
correre rischi pandemici, non contribuisce al disboscamento di aree
ecologicamente importanti come la foresta amazzonica, non inquina le falde
acquifere e l’atmosfera, non produce antibiotico-resistenza, né malattie
cronico-degenerative, non ha un consumo d’acqua spropositato, non aggrava il
cambiamento climatico: ‘Le emissioni di CO2, per grammo di proteine
sono almeno 20 volte minori per i legumi, rispetto alla carne ed il consumo di
acqua nella loro produzione è 5-6 volte minore’ ( vedi P. Vineis et al, Prevenire,
Einaudi, Torino 2020).
Il 2019
l’anno del maiale, della PSA e del Covid-19:
Nel 2018 partì dalla Cina un’epidemia di peste suina africana (PSA), per la
responsabilità della industria dell’allevamento, che devastò le fattorie cinesi
e si propagò nel mondo. Il 5 febbraio 2019 si è celebrato, secondo il
calendario cinese, l’inizio dell’anno lunare dedicato al maiale, segno
zodiacale tradizionalmente associato a ricchezza, prosperità ed abbondanza.
Incurante di ciò la peste suina africana ha sterminato i maiali cinesi,
costringendo la Cina all’importazione di carne di maiale (dagli Stati Uniti,
dall’Europa e dall’Italia etc.) facendo lievitare i prezzi del mercato interno,
nonostante le scorte di Stato.
La Via del maiale:
La Cina ha fame di carne di maiale. E’ il primo allevatore ed il primo
consumatore di maiali al mondo. Nel settembre del 2019, l’incremento del prezzo
della carne suina è arrivato a + 69,3%. Proprio i prezzi alle stelle potrebbero
essere stato uno dei motivi che hanno spinto la prima vittima ufficiale da
Covid-19, il sessantunenne di Wuhan morto il 9 gennaio, a
frequentare il mercato della città di Wuhan, nella provincia dello Hubei, dove
venivano venduti pipistrelli e pangolini. I formichieri squamosi, una
specie protetta la cui vendita è illegale, molto probabilmente sono stati
l’ospite intermedio, fra il pipistrello e l’uomo, che ha favorito il salto di
specie.
Un altro cofattore: il negazionismo cinese:
Considerato che in Cina solo il 23 gennaio è stato imposto
il lockdown totale, un recente studio condotto da ricercatori dell’Università
di Southampton, in Gran Bretagna, ha stimato che se la Cina avesse agito con
una settimana di anticipo rispetto alla data del 23 gennaio, avrebbe ridotto il
contagio globale del 66%.
Per il day after:
Covid-19 non resterà un episodio isolato, se non ci libereremo dal
capitalismo che stritola tutte le specie viventi negli ingranaggi dell’economia
globale, se non casseremo il modello di allevamento capitalista industriale
che scanna e trasforma milioni di animali in macchine fornitrici di materia
prima, con impatti ambientali giganteschi sul pianeta, se non chiuderemo per
sempre i ‘wet market’, barbari mercati senza regole dove animali vivi
di specie selvatiche, ma anche cani e gatti, vengono macellati sul posto e
acquistati per fame o per superstizione, promuovendo lo spillover zoonotico, il
salto dall’animale all’uomo di nuovi agenti patogeni. In Cina sono maestri del
‘contact tracing’ che ne facciano uso per chiudere almeno questi
mercati dell’orrore e delle pandemie.
Covid-19 può essere un’opportunità per progettare nuovi schemi economici e
sociali, forme di pensiero alternative a quelle dominanti ed un modo diverso di
pensare a noi stessi.
*Gian Luca Garetti
Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina
generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute
mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore
ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è vicepresidente
nazionale di Medicina Democratica e membro di ISDE (International Society of
Doctors for the Environment).
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