Medicina Democratica Onlus esprime profondo sconcerto e totale
disaccordo sul documento della Società Italiana di Igienisti (SItI) a
supporto dell’incenerimento dei rifiuti, attraverso impianti di terza
generazione, posizione condivisa anche dall’Istituto Superiore di Sanità
(ISS). Le nostre osservazioni si limitano a quanto riportato
dall’Agenzia ADN kronos[1], poiché i documenti non sono disponibili sui siti ufficiali. Vengono presentate “7 verità scientifiche”, in modo dogmatico, senza motivazioni solide o riferimenti bibliografici che le possano sostenere
Si riportano di seguito le “7 verità” e l’analisi critica di Medicina Democratica. comunicato siti
Il mito di Prometeo offusca la visione della Società Italiana di Igiene
Medicina Democratica Onlus esprime profondo sconcerto e totale
disaccordo sul documento della Società Italiana di Igienisti (SItI) a
supporto dell’incenerimento dei rifiuti, attraverso impianti di terza
generazione, posizione condivisa anche dall’Istituto Superiore di Sanità
(ISS). Le nostre osservazioni si limitano a quanto riportato
dall’Agenzia ADN kronos[1], poiché i documenti non sono disponibili sui siti ufficiali. Vengono presentate “7 verità scientifiche”, in modo dogmatico, senza motivazioni solide o riferimenti bibliografici che le possano sostenere
Si riportano di seguito le “7 verità” e l’analisi critica di Medicina Democratica. comunicato siti agosto 2016
1) Le discariche “inquinano l’ambiente più degli inceneritori” e questi ultimi “non provocano rischi sanitari acuti e cronici per chi vive in prossimità degli impianti”
Gli inceneritori (anche di terza generazione) non eliminano i
rifiuti, ma li trasformano in emissioni, ricche di un variegato cocktail
di inquinanti, i residui (scorie pesanti e leggere) sono pari a circa
il 30% in peso dei rifiuti in ingresso. Le discariche di servizio sono
necessarie anche per gli inceneritori, questi ultimi creano residui che
non ci sarebbero senza la combustione dei rifiuti. Le ceneri leggere
sono estremamente tossiche in quanto residuano dai filtri e dai processi
di abbattimento dei fumi, devono essere conferite a discariche speciali
o alla “tombazione” in miniere dismesse. È pertanto fuorviante parlare
di discariche in modo generico: una discarica che accoglie le scorie e
le ceneri degli inceneritori sarà notevolmente impattante (ma senza un
inceneritore alle spalle non ci sarebbe); una discarica ricca di rifiuto
organico produrrà biogas inquinante ed aereosol con impatto
microbiologico; una discarica a valle di una raccolta differenziata di
elevata qualità, smaltisce materiali pressocchè inerti e in quantità
ridotte, è privata della frazione organica e ha un bassa produzione di
patogeni microbiologici, di percolato e biogas. Per quanto riguarda i
rischi sanitari connessi con l’incenerimento si rimanda al punto 3).
2) La gestione del complesso
ciclo dei rifiuti solidi urbani prevede azioni integrate con raccolta
differenziata, contenimento nella produzione dei rifiuti e attività
educative. Ma – avverte la Siti – non si può prescindere dalla
disponibilità di termovalorizzatori di ultima generazione che possono
portare a un bilancio energetico complessivo positivo, con produzione di
energia e sistemi di teleriscaldamento come accade virtuosamente da
anni in città come Brescia, Lecco e Bolzano.
Dal punto di vista energetico, le migliori tecnologie disponibili
consentono di raggiungere un rendimento pari al 40% dell’energia
associata ai rifiuti combusti. Questo risultato si può ottenere solo
attraverso un uso efficiente del teleriscaldamento, ovvero sfruttando il
calore di scarto, opzione che si realizza molto raramente (di fatto
solo nei casi citati da SItI e poco più) perché è necessaria la
compresenza di domanda e di offerta. Inoltre, le reti di distribuzione
sono molto costose e impattanti, perché richiedono tagli nella rete
stradale e predisposizioni in tutte le abitazioni. Il rendimento
complessivo e l’aspetto economico solo in condizioni urbanistiche
particolari sono interessanti per la singola utenza domestica.
Il bilancio energetico è tutt’altro che ottimale, se confrontato con il riciclo (recupero di materia). Secondo i dati della EPA[2]
– a parità di composizione – l’energia risparmiata con il riciclo è da
due a sei volte superiore a quella “recuperata” con l’incenerimento.
Gli inceneritori sono impianti rigidi che richiedono una quantità di
rifiuti costante e continua per molto tempo (20-30 anni). Costruendo un
inceneritore, si ipoteca il futuro obbligandosi a rendere disponibili
elevate quantità di rifiuti, un’opzione che contrasta le politiche di
uso razionale delle risorse e i trend degli ultimi anni che hanno visto
una drastica riduzione della la quota di materiali non riciclabili
immessa a consumo con le merci. Questa rigidità favorisce operazioni
quali l’assimilazione dei rifiuti speciali (prodotti da utenze
commerciali e produttive) ai rifiuti urbani. In Emilia-Romagna, ad
esempio, l’assimilazione di rifiuti non pericolosi è molto diffusa, la
normativa prevede invece che i rifiuti speciali siano gestiti a mercato
libero e sono per la massima parte facilmente riciclabili.
Le politiche della comunità europea, al contrario, sono orientate
all’economia circolare, perché i vantaggi sopra citati si traducono
anche in vantaggi economici. Secondo gli studi della UE, un uso più
efficiente delle risorse lungo l’intera catena produttiva potrebbe
ridurre il fabbisogno di fattori produttivi materiali del 17%-24% entro
il 2030, con risparmi per l’industria europea dell’ordine di 630
miliardi di euro l’anno. Bruciare i materiali contenuti nei rifiuti
significa dover estrarre nuove materie prime per produrre nuove merci
(magari “usa e getta”) con un impatto ambientale che non è limitato al
singolo impianto di incenerimento ma che percorre tutta la filiera
produttiva, dall’estrazione, alla trasformazione, alla
commercializzazione delle merci e si riattiva ad ogni accensione.
3) Lo studio epidemiologico
Moniter – ricordano gli esperti – condotto dalla Regione Emilia Romagna
con l’apporto di scienziati internazionali, è una delle più sofisticate
ricerche al mondo sul rischio connesso alle emissioni di inceneritori.
Questo lavoro evidenzia chiaramente la assenza di rilevanti rischi
sanitari acuti e cronici per chi vive in prossimità degli impianti.
Questa affermazione appare davvero paradossale, poiché lo studio
dimostra chiaramente il contrario. Ricordiamo che lo studio venne
condotto dopo gli allarmanti risultati emersi dall’indagine sugli
inceneritori di Forlì (Valutazione dello stato di salute della
popolazione residente nell’area di Coriano (Forlì) studio condotto
nell’ambito del progetto “Environmental health surveillance system in
urban areas near incinerators and industrial premises / ENHANCE HEALTH”[3]),
risultati che indussero la Federazione dell’Ordine Dei Medici
dell’Emilia Romagna (FRER) a chiedere una moratoria su questi impianti.
Medicina Democratica, durante il proprio congresso del 2012 aveva
formulato diverse osservazioni sul metodo adottato e sulla
interpretazione dei risultati. Le principali osservazioni riguardavano
la scelta del marker dell’esposizione e l’area analizzata: Moniter ha
considerato esclusivamente PM10 (e non particolato ultra fine nè matrici
vegetali o animali) ed è stato condotto sulla popolazione residente
entro solo 4 km dagli 8 impianti dell’Emilia-Romagna. Siamo ancora in
attesa delle repliche che il Comitato Scientifico del Moniter si era
impegnato a fornire come risulta dal verbale della seduta del
16.03.2012.
Moniter Gennaro MD
osservazioni Moniter MD
CS120316
Gli unici risultati dello studio Moniter (costato ben 3 milioni e
400.000 euro di soldi pubblici) pubblicati su riviste internazionali
(Candela S et al, Epidemiology 2013;24:863) e (Candela S et al, Environ
Int, 2015. 78:51) mostrano una associazione positiva e statisticamente
significativa del rischio di nascite pre-termine e abortività spontanea
con l’esposizione alle emissioni degli impianti. Risultati in netto
contrasto con l’affermazione della SITI circa una ”assenza di rilevanti rischi sanitari acuti e cronici per chi vive in prossimità degli impianti”.
Inoltre, dallo studio Moniter, sono emersi incrementi di: mortalità per
tumori di fegato e vescica negli uomini, incidenza di tumori del
pancreas negli uomini, mortalità per cancro del colon nelle donne e per i
linfomi non-Hodgkin in entrambi i sessi nella coorte di Modena. Oltre a
patologie tumorali, aborti spontanei e nascite pre-termine (di cui si è
già detto), lo studio Moniter ha documentato anche associazioni
statisticamente significative con aumento di rischio di malattie
ischemiche cardiache e di mortalità per malattie cardiocircolatorie
nelle femmine, aumento di rischio di mortalità per malattie respiratorie
acute nelle femmine, andamento crescente del rischio di malformazioni
nel loro complesso con l’aumentare dell’esposizione. Risultati tutti
coerenti con altre pubblicazioni scientifiche nazionali ed
internazionali. E’ davvero sconvolgente constatare lo stravolgimento che
viene operato dei risultati di questo studio. Quanto al fatto che gli
inceneritori “non provocano rischi sanitari acuti e cronici per chi vive in prossimità degli impianti” segnaliamo
che sono numerosi gli studi scientifici che dimostrano esattamente il
contrario e descrivono effetti sia a breve (esiti riproduttivi,
malformazioni, esiti cardiovascolari, respiratori) che a lungo termine (
soprattutto tumori). E’ vero che per la gran parte (ma non per la
totalità) si tratta di studi che riguardano impianti di “vecchia generazione”, ma dove sono studi epidemiologici che valutano gli effetti a lungo termine degli inceneritori di “nuova” generazione?
Il nuovo inceneritore di Case Passerini – che si vorrebbe costruire nella piana fiorentina – potrà emettere ogni ora 170.000 Nm3
di fumi e annualmente (in assenza di incidenti/ malfunzionamenti ed
altro) potrà immettere in atmosfera 6,7 tonnellate di Particolato Totale
Sospeso (PTS), 94,2 t di NO2, 67,3 t di CO, nonché 134,6 kg
di Hg, idem di Cadmio e Tallio, 13,5 kg di IPA, nonché 135 mg di
diossine. Chi può in coscienza affermare oggi che un cocktail di
inquinanti di simile entità sia ininfluente per la salute di una
popolazione che vive in un area già fortemente critica?
Il fatto che trattandosi di impianti di terza generazione i rischi
per la salute saranno minori è tutto da dimostrare: intanto la taglia
degli impianti è notevolmente più elevata (e quindi maggiore la quota
di fumi emessa) e una volta costruiti questi impianti non solo devono
bruciare per molto tempo, ma anche per quantità ben superiori a quelle
inizialmente indicate (la “saturazione del carico termico” che
inizialmente viene nascosta dalla autorizzazione). L’inceneritore di
Brescia, progettato per 200.000 t/anno, ora ne brucia più di 800.000.
Inoltre, anche se i “moderni” inceneritori applicano le migliori
tecnologie disponibili, dette BAT (Best Available Tecnology), rimangono
tuttora aperti numerosi aspetti critici, legati alle caratteristiche dei
sistemi di abbattimento, alla composizione dei rifiuti ammessi
all’inceneritore, al controllo delle fasi critiche di accensione e
spegnimento durante le quali i processi di combustione – e di
conseguenza le emissioni – sono difficilmente controllabili. Sono
numerosi gli esempi di impianti con gravi criticità e sotto inchiesta
della Magistratura, ad esempio, per sforamenti di diossina. Le
rassicurazioni fornite appaiono quindi davvero inappropriate, se non
altro per il semplice fatto che mancano studi epidemiologici, come già
riportava un documento del 2009 dell’Associazione Italiana di
Epidemiologia: “A causa del poco tempo trascorso dall’ introduzione
delle nuove tecnologie d’incenerimento e a causa delle difficoltà di
condurre studi di dimensioni sufficientemente grandi da rilevare
eventuali effetti delle nuove concentrazioni dei tossici emessi, non
sono ad oggi disponibili evidenze chiare di rischio legato agli impianti
di nuova costruzione.”
4) Secondo la SItI il trasporto
a lunga distanza dei rifiuti (o anche all’estero, come accaduto a
Napoli) ha costi maggiori e un impatto ambientale negativo legato alle
emissioni dei mezzi di trasporto, fatto quasi mai considerato;
Le analisi di ciclo di vita dei sistemi industriali (LCA) considerano
anche il trasporto e la sua incidenza negativa in termini economici e
ambientali. D’altra parte, all’uso diffuso di inceneritori, è associato
il trasporto di grandi quantità di materiali tossici (ceneri e
polverino) in discariche, spesso poste a centinaia o migliaia di
chilometri dagli impianti di incenerimento. La soluzione più razionale
per ridurre il trasporto di rifiuti è la raccolta differenziata di
qualità e la realizzazione di una rete diffusa di impianti di recupero e
selezione.
Indirizzi, completamente disattesi dalle politiche nazionali che
prevedono, al contrario, un sistema impiantistico basato esclusivamente
su inceneritori (art. 35, Decreto “Sblocca Italia”), e incentivi agli
inceneritori con recupero energetico per un valore complessivo di oltre
500 milioni di euro. Un valore economico superiore ai corrispettivi
erogati dal CONAI per la raccolta differenziata degli imballaggi, pagato
dai cittadini con la bolletta elettrica.
5)
E’ fondamentale una strategia di lungo periodo, logicamente su base
regionale o interregionale, per evitare emergenze come quella attuale o
come quelle multiple viste in Campania – sottolineano gli esperti – tali
azioni devono essere accompagnate da corrette informazioni ai cittadini
a cominciare dalle scuole, educazione della popolazione alla raccolta
differenziata, controlli e misure repressive dove necessarie e un
impegno delle istituzioni per evitare inutili strumentalizzazioni.
Ovviamente si tratta di scelte politiche che non vengono fatte e che anzi mortificano i comportamenti virtuosi dei cittadini. Perché
i 500 milioni di euro che ogni anno arrivano agli inceneritori non sono
utilizzati per promuovere raccolte differenziate di qualità e impianti
di recupero e riciclo? Anche lo stesso Comitato Scientifico che ha
supervisionato lo studio Moniter, nelle proprie “Osservazioni” sui
risultati, non mancava di raccomandare “l’adozione di politiche di
gestione rifiuti che non creino ulteriore domanda di incenerimento, in
linea con la gerarchia europea dei rifiuti e con generali considerazioni
di sostenibilità”. Perché si continua a fare esattamente il contrario e ora lo si sostiene con risibili e generiche motivazioni?
6) I rifiuti accumulati per
strada sono uno spettacolo indecente e un segnale di degrado urbano che
non vorremmo mai vedere. Non sono però documentate – avvertono gli
specialisti – emergenze sanitarie particolari, come epidemie o rischi
infettivi, come qualcuno ha paventato in questi giorni La SItI ci
ricorda che i rifiuti accumulati per strada sono uno spettacolo
indecente e segnale di degrado urbano. Certamente! Tutti sappiamo però
che le cause sono imputabili in larga parte a mala gestione, ma anche a
intervento delle diverse “mafie” (presenti nell’intero ciclo dei
rifiuti, dalle discariche, al trasporto, all’incenerimento etc.). Un
degrado che è peraltro favorito dal sistema di raccolta a “cassonetto
stradale” in luogo del ben più performante sistema “porta a porta” che,
se correttamente condotto, riduce drasticamente i conferimenti impropri
(inclusi quelli dei rifiuti non urbani ma speciali da attività
produttive). E’ importante che la scelta della modalità sia condivisa e
partecipata con gli utenti e non solo l’applicazione di decisioni del
gestore e dell’ente locale, non necessita solo l’educazione ma anche la
partecipazione.
7) La teoria dei rifiuti zero è
illusionistica ma è un falso mito, non solo perché di fatto inattuabile
ma per la dimostrazione che le raccolte differenziate oltre una certa
soglia (attorno al 60%) rischiano di non essere efficaci. In tanti
predicano la raccolta differenziata – conclude la Siti – ma in pochi
dicono che non si sa cosa fare di buona parte del compost prodotto o che
la contaminazione di alcune raccolte differenziate con altri materiali
(di fatto uno ‘sport nazionale’ come documentano alcuni dati) raddoppia i
costi della raccolta e costringe comunque allo smaltimento
indifferenziato.
Che la strategia rifiuti zero sia un falso mito è un’opinione di SItI
non motivata e non condivisa da eminenti personalità del settore
rifiuti e in ambito di Commissione Europea[4]
; certo è che, come il nome “rifiuti zero” dovrebbe suggerire, non si
tratta di una strategia limitata alla gestione dei rifiuti una volta
prodotti, ma abbraccia una visione più ampia sull’intero sistema
produttivo delle merci e coinvolgendo i produttori mediante la
“responsabilità estesa” (ad esempio per i rifiuti elettrici ed
elettronici).
Per quanto riguarda la raccolta differenziata, invece, non si tratta
di una predica di qualche santone antinceneritorista, ma di un obbligo
di legge; raccolte differenziate ben oltre il 60 %, prossime agli
obiettivi di rifiuti zero, vengono attuate in ampi territori italiani
con successo e con costi più contenuti del “sistema integrato”.
Per quanto riguarda il compost, è notorio che non si può
produrre un compost di qualità con il solo rifiuto organico domestico;
solo gli impianti che lo processano adeguatamente riescono a produrre un
compost di qualità che trova impiego. Se fosse lecito rifiutare tutta
la tecnologia generalizzando sulla base del malfunzionamento di qualche
impianto, allora tale principio andrebbe adottato impianti di
incenerimento che vengono spenti e riaccesi in continuazione perché non
funzionano, che hanno tinto di violetto con i loro fumi i nostri cieli,
che hanno superato e continuano a superare i limiti di emissione, che
sono stati chiusi dalla magistratura per violazione delle norme o che
addirittura avevano gli strumenti di monitoraggio “taroccati”, e via
dicendo. Anche sugli impianti di compostaggio potremmo ripetere quanto
già espresso più volte: se gli enormi incentivi sperperati sugli
inceneritori fossero stati dati a questi impianti forse oggi avremmo
oggi una terza generazione di impianti di compostaggio in grado di
produrre ottimo compost.
D’altra parte, lo stesso ISS nel febbraio 2014 così dichiarava: “Per
quanto attiene lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, un
significativo guadagno in salute per le popolazioni residenti in
prossimità di discariche e inceneritori può essere ottenuto attraverso
la riduzione del 10% dei rifiuti prodotti, l’innalzamento al 70% della
raccolta differenziata e del compostaggio e il divieto di conferimento
in discarica del rifiuto indifferenziato tal quale”.
Infine, per quanto riguarda la contaminazione della raccolta
differenziata citata gli scriventi sembrano non essere a conoscenza che
in massima parte non si tratta di contaminazione con materiali di
diversa composizione, ma si tratta di materiali di diversa
classificazione merceologica: negli impianti che accolgono le plastiche o
il vetro, ad esempio, vengono selezionate e scartate con destinazione
discarica o incenerimento tutti i rifiuti pur di plastica o di vetro che
non appartengono alla categoria imballaggi, in quanto il CONAI
riconosce solo questi (e ciò fa emergere i limiti del sistema attuale
basato sui consorzi). Ciò non succede con il Comieco (raccolta di
carta/cartone). Il fatto che gli scriventi evidentemente siano ignari di
questo aspetto ci fa supporre che anch’essi pratichino lo stesso sport
che sembrano biasimare.
In conclusione, con grande rammarico si prende atto che nel nostro
paese non viene programmata un’azione strutturale per la corretta
gestione dei rifiuti. Crediamo che gli igienisti della SItI non abbiano
ben chiare le direttive EU in tema di gestione di rifiuti che pongono il recupero di materia prioritario rispetto al recupero di energia
e che indicano nell’economia circolare la strada maestra per la tutela
non solo delle risorse, ma dell’ambiente e della salute. Abbiamo
l’impressione che i giudizi riportati siano quanto meno affrettati e
poco degni di una società che si definisce “scientifica”. Peraltro è
solo in virtù della pressione popolare che in Italia, nel 1992,
l’amianto è stato vietato, se fosse stato per considerazioni come quelle
di SItI sugli inceneritori, lo produrremmo ancora, con qualche filtro
in più…
Il Direttivo di Medicina Democratica Onlus, 17 agosto 2016
[1]http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2016/08/13/rifiuti-igienisti-discariche-inquinano-piu-degli-inceneritori_BSbCs6TbFsd2qJd1UqbeHJ.html?refresh_ce
[2] Agenzia ambientale del governo USA, https://www3.epa.gov/climatechange/wycd/waste/downloads/execsum.pdf
[3] http://www.arpae.it/cms3/documenti/_cerca_doc/rifiuti/inceneritori/enh_relazione_finale.pdf
[4] COM(2014)398/F1
ENV (DG Environment) 02/07/2014 COMMUNICATION FROM THE COMMISSION TO
THE EUROPEAN PARLIAMENT, THE COUNCIL, THE EUROPEAN ECONOMIC AND SOCIAL
COMMITTEE AND THE COMMITTEE OF THE REGIONS Towards a circular economy: A
zero waste programme for Europe
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